I sussidi percepiti erano indebiti, ma i pascoli “fantasma” sono stati inseriti per errore nella domanda per l’ottenimento dei contributi. Questa la linea difensiva che ha portato all’assoluzione di un allevatore e imprenditore agricolo di Bene Vagienna, C.C., chiamato a rispondere di frode ai danni dello Stato.
I contributi non dovuti, secondo i calcoli della Procura, ammontavano a 140mila euro, percepiti nell’arco di un biennio, tra il 2015 e il 2017, attraverso il meccanismo dei sussidi europei. I pascoli in questione si trovano a Roccaforte Mondovì, ma di proprietà del Comune di Briga Alta sul versante Est della cima delle Saline, l’alpe Bellino, e sul versante ovest, l’alpe Biecai. Gli appezzamenti rimasti inutilizzati – ma messi a domanda, quindi finanziati – sono collocati sull’alpe Bellino, gli altri invece sul Biecai. Alcuni di questi, sosteneva l’accusa, erano addirittura oltre confine, sul versante francese della montagna, perciò esclusi ipso facto dalla possibilità di ricevere sussidi in Italia.
In aula l’imputato ha ammesso di aver presentato le domande per l’ottenimento dei fondi e anche di aver portato le sue mandrie oltre confine: «Ma sappiamo di non poter chiedere contributi per quei pascoli», ha precisato. In seguito all’avvio del procedimento, comunque, l’uomo ha avviato un dialogo con le autorità preposte per la restituzione dei contributi. Circostanza che non è bastata per convincere il sostituto procuratore Pier Attilio Stea: «Oggi ci dice di essersi sbagliato, ma la maggiorazione nei contributi ottenuti è enorme». Per questo era stata chiesta una condanna pari a quattro mesi di reclusione, a pena sospesa.
L’avvocato Alessandra Caramello, difensore dell’allevatore, ha insistito sulla buona fede: «Da tempo immemorabile la famiglia affitta questi alpeggi, individuati in base ai confini orografici. Le mandrie hanno in effetti pascolato entro questi confini e il proprietario non immaginava che ci fosse un errore, tant’è che non se n’è accorta nemmeno la Coldiretti quando ha presentato la domanda a suo nome. Il documento arrivava dal Comune e la stessa funzionaria di Coldiretti dice di non averlo controllato proprio per questo. A riprova di ciò, ha aggiunto il legale, c’è il fatto che sui moduli sanitari non si è mai parlato dell’alpe Bellino». Il giudice Elisabetta Meinardi ha accolto la tesi prospettata dalla difesa, assolvendo C.C. perché il fatto non costituisce reato.