«Campi distrutti da caprioli e cinghiali: ormai siamo rassegnati»

Lo sfogo del sindaco di Castelnuovo di Ceva Mauro Rebuffo: «Oggi a rischio di estinzione non sono più gli animali selvatici, bensì gli agricoltori, i piccoli proprietari di fondi che per passione si ostinano a coltivare il loro piccolo appezzamento»

«È desolante, giorni di lavoro, fatica e passione senza dimenticare i costi, e questo è il risultato: nottetempo i caprioli, nonostante la recinzione elettrificata, hanno pensato di “dare una festa” nel mio campo». Il sindaco di Castelnuovo di Ceva, Mauro Rebuffo, fa riferimento al proprio appezzamento di terreno coltivato in una zona da anni famosa per la produzione di pregiati fagioli, e successivamente distrutto da animali selvatici.
«Ovviamente il mio è solo il pretesto per questa situazione che si perpetra ormai da anni – si sfoga il primo cittadino –, i discorsi da bar giornalmente toccano questo argomento, chi per le patate, chi per l’orto, chi per i boschi appena tagliati razziati dei teneri germogli dai caprioli e chi la sera prima ha “bocciato” contro un capriolo o un cinghiale. Già alcuni anni fa sollevai il problema, ma fui attaccato da Associazioni ambientaliste, difensori della biodiversità, e Associazioni animaliste, ma nella convinzione che possa essere trovato un compromesso, con giuste ed eque linee guida degli Enti preposti, ripropongo con rinnovato vigore il problema. Stiamo rasentando il ridicolo: da una parte una politica che cerca, anche con lodevoli iniziative, di incentivare la permanenza e invogliare l’avvicinamento delle persone alle “terre alte” e in quelle marginali favorendo così la salvaguardia di un territorio divenuto fragile; dall’altra una politica che, sempre con soldi pubblici, ha prodotto interventi oramai fuori controllo, che sembrano mirati a disorientare e demotivare la “sopravvivenza” di quelle stesse persone che resistono in quei luoghi. Come posso io, sindaco, consigliare a un giovane che mi chiede un parere sull’intraprendere un’attività agricola sui nostri territori? La premessa alla mia risposta sarebbe alquanto demotivante per il giovane a causa, in primis, della proliferazione incontrollata della fauna selvatica, che costringe l’imprenditore o il semplice appassionato ad investire ingenti risorse sia economiche che umane per salvaguardare il suo appezzamento».
«Da anni ormai l’escalation di lamentele dei miei compaesani ormai rassegnati e inermi di fronte a questa “calamità” è allarmante – continua Rebuffo –: i fagioli non si possono più coltivare, perché i caprioli li divorano appena germogliano; le patate a maturazione avvenuta diventano il cibo preferito dei cinghiali; gli ortaggi in genere se non mangiati sono danneggiati dal solo passaggio degli ungulati; le colture arboree e forestali sono danneggiate dai caprioli che si cibano dei teneri germogli, lasciando tabula rasa nei boschi appena tagliati, apportando un danno enorme all’”ecosistema bosco”. Ma perché, e soprattutto grazie a chi, devo camminare tra i campi, un tempo pregni di colori e profumi, e fare attenzione a non toccare le recinzioni elettrificate, imbattermi in brutture quali reti rosse da cantiere alte 2 mt, reti elettrosaldate, dissuasori acustici di ogni tipo, invece di poter godere una campagna in pace con se stessa? Allarmante e frustrante è il vedere, soprattutto all’imbrunire, veicoli che viaggiano su strade provinciali e comunali a passo d’uomo per paura di imbattersi in caprioli o cinghiali con rischio di danni materiali e pericolo per l’incolumità personale».
«È proprio una tristezza rendersi conto che Enti che dovrebbero essere garanti della salvaguardia di territori già duramente provati, siano incapaci di una programmazione che disciplini le aspettative dei soggetti in campo senza arrecare danno a coloro che garantiscono la vita e il controllo del territorio – aggiunge ancora il sindaco –. Oggi a rischio di estinzione non sono più i lupi, i cervi o i caprioli… bensì gli agricoltori, i piccoli proprietari di fondi che per passione si ostinano a coltivare il loro piccolo appezzamento. Capisco che in questo periodo parlare di “emergenza” della cattiva gestione della fauna selvatica sia un tantino esagerato, considerate le grandi emergenze nazionali e mondiali attuali, ma l’equilibrio tra agricoltura-territorio (siano attività da reddito o di passione-passatempo) e fauna selvatica oramai da troppi anni passa sottogamba a tutti i livelli decisionali con conseguenti rimpalli di responsabilità ogniqualvolta ci scappi il morto o il problema diventi sanitario (peste suina). Non sarebbe quindi ora che gli Enti e la politica preposta attuino idonee e serie discipline a tutela dei territori interessati a questo problema? Il sistema attuale che si basa su indennizzi, molto spesso inadeguati rispetto al danno e con lungaggini burocratiche esasperanti, compartecipazione alla spesa per acquisto recinzioni, stipula di assicurazioni contro i danni, ecc. si sono dimostrati, a causa anche della congiuntura economica, inadeguati e assolutamente insufficienti. Tuttavia sono convinto si possa e si debba trovare un compromesso che ristabilisca un equilibrio tra le aspettative dei tre attori coinvolti, abitanti delle terre di alta collina e montagna, fauna selvatica, Enti governativi preposti alla tutela del territorio».
«A mio parere – conclude – è compito della politica trasformare questa cospicua realtà naturalistica, da calamità naturale in risorsa a favore di un territorio che per troppo tempo ha subito l’imposizione di scelte azzardate, attuando nuove e concrete iniziative opportunamente regolamentate, in cui il coltivatore o l’allevatore sia non solo tutelato ma incentivato a vigilare su questa risorsa. Il cacciatore svolga l’attività venatoria con la duplice funzione di contenimento delle specie e di selezione, e contribuzione diretta gestita dai Comuni o dalle Unioni Montane agli indennizzi. Gli Enti regionali e provinciali intervengano con norme più semplici, meno burocrazia e soprattutto risorse certe e garantite per la prevenzione, e all’uopo ai danni, non solo per le attività produttive ma anche per chi con la propria passione “di agricoltore” contribuisce al mantenimento dell’assetto idrogeologico e al decoro ambientale del territorio».

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