«A Mondovì si spacciava in strada: la droga non ce l’hanno portata i profughi»

Lettera di una madre: «Andavo a cercare mio figlio nei luoghi dove si spacciava. E allora non c'erano i migranti».

Signor direttore, leggo su giornali locali notizie, interventi e commenti sulla droga a Mondovì. Vorrei a mia volta intervenire, per ragionamenti che mi stanno a cuore.
La droga, le droghe sono fra noi da molto tempo, molto prima che fame, sete, persecuzioni e guerre spingessero uomini e donne a cercare rifugio qui da noi. Non hanno bisogno di chiedere asilo. Conosco, ho conosciuto questo mondo da vicino, nel quale mio figlio Angelo è sprofondato da giovanissimo. Conosco i luoghi dello spaccio, riconosco ancora oggi gli “spacciatori” di allora, quelli che ce l’hanno fatta a non morire, ragazzi buttati allo sbaraglio per una dose in più. I veri spacciatori, quelli che sulla cocaina, sull’eroina, sulle fantastiche pasticche da sballo fanno i denari veri, no, quelli non li conosco, non li ho mai conosciuti. Avevo allora una grande rabbia contro tutti, giornalisti, Forze dell’ordine, Servizi sociali, amministratori. Mi sembrava che nessuno riuscisse ad intervenire nel modo giusto, con l’aiuto alle famiglie, con la prevenzione vera, con la punizione dei grandi spacciatori. Tutto era, come ora, detto a mezza voce, tutti sapevano, nessuno ne parlava coraggiosamente. Questa era, almeno, la mia percezione. E io andavo, da sola, di notte, di giorno, da un luogo di spaccio all’altro a cercare mio figlio.
Non era solo la stazione, e non credo lo sia neppure ora. Uno dei luoghi allora era in centro, molto in centro, in un luogo conosciuto da tutti noi, nel quale io passo ogni giorno, ancora, con un brivido. Nessuno ne parla. Eppure si spacciava, lì, in pieno giorno, nel primo pomeriggio. Dimenticavo di sottolineare che allora non c’erano migranti, eravamo, come dicono a Roma, tutti de noantri. Ricordo tutti i ragazzi morti per overdose di eroina, sulle panchine, con titoli di giornale, e anche tutti i ragazzi morti di cocaina, forse, si mormorava sottovoce, ma senza scandalo, senza articoli di giornale, senza nome e cognome. La Stazione è un luogo di passaggio, come tanti altri a Mondovì, e questo non basta a demonizzarla. I volontari che la presidiano danno un segnale di presenza pacifica: una luce accesa la sera, una porta aperta sono già una bella cosa.
Domando a tutti noi: che cosa stiamo facendo perché questi giovani soli, smarriti, e sto parlando dei migranti come dei nostri ragazzi che abusano di sostanze (non dimentichiamo l’alcool, e il recente carnevale) perché si sentano meglio, perché smettano di avere bisogno di qualcosa che alteri la realtà? Che cosa offriamo loro, a parte il consumare consumare consumare? Quanti di noi hanno scambiato parole con i giovani neri che si aggirano per la città? Quando è stato fatto un dibattito serio, fra tutti noi, sul consumo e sullo spaccio (quello vero) di droga in città?
Lo sciagurato metodo di accoglienza di cui si parla nelle cronache è vero, ed è il nostro, di tutti noi che ignoriamo questi giovani, con i loro bisogni, i loro problemi, i loro sogni, uguali e sottolineo uguali a quelli dei nostri figli. In questo senso è sciagurato, e sciagurati noi che non sappiamo accogliere.
DANIELA OGGERINO - MONDOVÌ

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