Tra la fine dei ‘90 e l’inizio del nuovo millennio, New York è tornata ad essere un po’ il centro nevralgico di tante novità sonore: dopo le ondate post punk della seconda metà degli ‘80 che si sarebbero poi sviluppate e cresciute nei ‘90 (Sonic Youth, Blonde Redhead e una lunga schiera di altre band, molte delle quali cresciute attorno a etichette come la Matador Records e la Touch & Go di Chicago) un nuovo gruppo di giovani artisti sarebbero poco a poco emersi. La band più rappresentativa è stata senza dubbio quella degli Strokes, un concentrato di energia e di suoni potenti sia nei brani più “tirati” sia nelle ballate. In quegli anni oltre agli Strokes la musica della Grande Mela ebbe come alfieri anche i TV on the Radio, the National (di cui si è parlato più volte in passato su questa rubrica, e live dell’anno in Italia nel 2014) e gli Interpol.
A proposito di questi ultimi, per chi non li conoscesse, il loro nome fa pensare all’organizzazione che coordina le operazioni internazionali di Polizia; in realtà Interpol deriva da un nomignolo che era stato dato a Paul Banks (Inter, per “International”, Paul) in Spagna quando da ragazzo viveva con la famiglia in giro per il mondo. La loro musica ha dato un po’ il marchio di fabbrica al suond della New York di fine millenio e anche nel nuovo disco (El Pintor, del 9 settembre), nonostante l’uscita del bassista Carlos Dengler (insieme a Banks e Kessler, anima fondativa), se ne sentono gli echi. In questa città, un po’ come tutti i centri più nevralgici del mondo (e tanto più negli States), si percepiscono come unico flusso le sonorità che circolano un po’ in tutta la nazione e all’intero villaggio globale; gli Interpol rispetto alle altre band (National a parte), che attingevano maggiormente alla tradizione punk, sono pervasi di un’intensità più “europea”, emotiva, che si fonda sulla voce di Banks e che tanto ricorda quel misto di malinconia e di rabbia dei Joy Division. Si ha la sensazione di percorrere le strade di New York: dai notturni solitari lungo le strade della “city” ai ritmi frenetici delle grandi strade di raccordo, la frenetica vita di boutique e centri d’arte, l’hot dog mangiato lungo la quinta strada. Un monolite che si sviluppa lungo 40 minuti circa e che ricorda molto gli esordi di Turn On the Bright Lights e di Antics. Non si può forse dire che El Pintor (un po’ come per Lazaretto di Jack White) sia un disco “fondamentale”, ma brani come My Desire, Same Town New Story o Everything is Wrong rappresentano la cifra di una band che, con cinque album alle spalle, tiene bene a mente il proprio spirito fondante e che approda a nuove idee, forse non più originali come in passato, ma di sicuro impatto e coinvolgimento emotivo.
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