La minima musicalia di Franco Battiato

È complicato racchiudere la vita di un musicista che ha segnato in modo indelebile una cultura, se non rischiando le banalità o i soliti luoghi comuni. In Italia De Andrè così come un Gaber, Ivan Graziani, Battisti o Rino Gaetano, in Francia Brassens o Brel, o ancora negli States Dylan o uno Springsteen: ogni Paese ha i suoi artisti ed ogni artista che assurge all’Olimpo degli dei dell’Arte diventa declinazione fondamentale per capirne non solo l’arte, ma per provare a decifrarne un po’ l’anima di quel popolo. Di tutti i “nostri” artisti citati poc’anzi ciascuno rappresenta un pezzo importante – l’unica mosca bianca è forse Graziani – della nostra cultura, ma nessuno fino in fondo ne riesce a sintetizzare in modo completo lo spirito (forse Gaber, ma talvolta da un punto di vista eccessivamente privilegiato). Chi forse è riuscito a darne una lettura ampia e per quanto possibile equilibrata è stato Franco Battiato.
Professionalmente la vita del musicista siciliano è segnata da un periodo all’inizio degli anni ‘80 in cui il suo nome passa dal circolare negli ambienti degli addetti ai lavori o tra le nicchie di ascoltatori di genere – che avevano conosciuto i dischi Fetus e Pollution – al diventare il cantautore del momento: sono gli anni in cui escono Patriots e La Voce del Padrone (forse il disco pop per eccellenza degli ultimi 50 anni), quelli in cui prende vita il sodalizio con Giuni Russo (il successo di Un’Estate al Mare), Milva (Alexander Platz) e Alice, da Chanson Egocentrique del 1983 al Sanremo di qualche anno dopo. Il successo giunto tra i 35 ed i 40 anni, ormai adulto, permetterà a Battiato di mantenere una integrità artistica e di compiere un percorso del tutto personale nel pop, ricco di divagazioni. Nonostante questo, Battiato sarà uno dei cantautori più pop della musica italiana, insieme a Vecchioni e Dalla, ma ben più di Dalla e Vecchioni capace di mantenere un legame anche con un pubblico più sensibile alle avanguardie. Più di altri ha stretto un rapporto diretto con le generazioni successive, specie con i nati negli anni ‘70 e negli ‘80 alla stregua del solo De Andrè: con gli altri, i Guccini, i DeGregori, o i Gaber, è più facile che ci si arrivasse tramite ascolti famigliari; con Battiato no. C’è un momento nella vita di ciascuno di noi in cui abbiamo ascoltato Battiato e ci è piaciuto, oppure ci ha infastidito o ancora ci è parso del tutto indifferente, ma quell’incontro è arrivato in un modo meno filtrato, più personale. A differenza e più ancora del cantautore genovese poi ha saputo guadagnarsi l’attenzione del pubblico grazie alla capacità di fondere i linguaggi – sia quelli della parola scritta, ma ancor di più quelli musicali – là dove sacralità si accompagnava al profano e dove un registro alto poteva tranquillamente venire affiancato a quello più basso; questo perchè per Battiato la musica è una sola, non ci sono differenze o discriminazioni. La musica è un unico flusso che non conosce età e che è capace di reggere il confronto con il tempo, come del resto buona parte delle sue canzoni; come disse il maestro in un’intervista: basterebbe non dare peso al successo”

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