25 APRILE, l’orazione della dottoressa Claudia Bergia – TESTO INTEGRALE

Discorso integrale della dottoressa Claudia Bergia,
Mondovì 25 Aprile 2024 - FOTO E RESOCONTO: CLICCA QUI 

Care amiche e cari amici, buon 25 Aprile.
È per me un grande privilegio rivolgermi a voi in occasione della Festa della Liberazione.
Ci troviamo in un luogo di libertà e di amore da quell’ aprile 1945.
La Resistenza è stata uno straordinario atto d’amore verso il nostro paese e il suo futuro.
Un atto d’amore scolpito nei nostri cuori, nei monumenti, nelle lapidi, sulle pietre dei cippi dei caduti, il cui generoso sacrificio, valso alla Città di Mondovì la medaglia al valore “ per la sua devozione esemplare alla patria e agli ideali di libertà per tutta la durata della lotta” , ci insegna ancora oggi cosa sia il senso di appartenenza, il perseguimento del bene comune, il mutuo riconoscersi e credere in un’identità collettiva, l’etica della responsabilità, la coerenza nel difendere le proprie idee, il coraggio di ribellarsi alle ingiustizie, all’oppressione e alla violenza.
Furono queste convinzioni a muovere e ispirare le scelte e le azioni dei nostri partigiani e di chi, dalle più diverse provenienze di pensiero, culturali e sociali, dagli operai ai contadini, da chi vestiva l’abito talare o la divisa, dagli avvocati ai medici, dagli intellettuali agli studenti, si trovò unito nel non restare indifferente alle aberrazioni del regime, alla brutalità delle sopraffazioni, alla perdita dei diritti delle persone.
Indimenticabile per i monregalesi l’alba di quel 29 aprile 1945 dopo anni di dittatura e notti di angoscia trascorse nei rifugi durante la guerra.
Uno spettacolo desolante quel mattino: la città isolata, ancora scossa dagli ultimi scontri mortali, come quello a piazza fra una colonna in ritirata e i partigiani, con morti e feriti anche fra i civili. e l’ancora vivo ricordo delle crudeltà commesse in zona dai repubblichini innervositi, delle minacce naziste, delle bombe del 12 marzo sulla città, dei rastrellamenti nelle valli e di quello di 2mila monregalesi avviati a cuneo nella neve di dicembre.
La resistenza sorta all’indomani dell’8 settembre ‘43 è stata lotta contro gli occupanti nazisti e contro la dittatura fascista. Venti mesi di guerriglia, con ricerche di armi, attacchi a obiettivi strategici, agguati, rastrellamenti, spostamenti tattici, rappresaglie, arresti, torture, fucilazioni.
Le giovani partigiane e i giovani partigiani si schierarono dalla parte più rischiosa ma giusta in coscienza e giusta nella prospettiva storica. Non era e non è affatto indifferente stare di qua o di là, stare coi resistenti o con il fascismo e il nazismo. È dalla resistenza che sono nate la nostra repubblica, la nostra democrazia, la nostra carta costituzionale.
Quella meravigliosa costituzione di cui l’antifascismo, lungi dall’esser solo una parola, ne rappresenta la radice e lo spirito profondo.
L’antifascismo. Il filo che lega la lotta di liberazione, intesa anche come liberazione dalla sopraffazione, dalla privazione delle libertà personali, dal condizionamento del consenso, alla carta costituzionale.
Una carta costituzionale antifascista ma anche antirazzista, perché si fonda sulla libertà, sull’uguaglianza, sulla democrazia, su una società aperta che si arricchisce nelle diversità.
la resistenza e lo spirito della nostra costituzione ci trasmettono la consapevolezza che non esiste destino individuale slegato al destino collettivo, che il diritto di ciascuno trova compimento nell’eguale diritto dell’altro, perché la società viene prima dell’individuo, gli altri vengono prima di noi.
Questo è uno dei grandi insegnamenti della resistenza: saper accantonare gli individualismi, le differenze, le contrapposizioni politiche, culturali e religiose, sentendosi parte integrante, facendosi carico e assumendosi in prima persona la responsabilità di un bene più grande e universale, perché il partigiano era il partigiano della libertà di tutti gli italiani.
Sta a noi ritrovare e sentire quella solidarietà umana che portò così tante famiglie allora a rischiare la vita e tutto ciò che possedevano per ospitare, rifocillare e nascondere i partigiani, consapevoli che offrire una speranza di salvezza voleva dire esporsi all’eventualità dell’arresto, della tortura, della morte.
Furono innanzitutto le donne, con il loro ruolo spesso in prima linea non solo come staffette e infermiere ma anche nell’imbracciare le armi, ad assicurare accoglienza e protezione alle minoranze perseguitate, trasformando le loro case in centri di distribuzione della stampa clandestina, depositi di munizioni, quartier generale, sfamando i fuggitivi, fornendo loro abiti civili, prestando cure e assistenza.
Saluto con affetto le donne in cammino per la pace oggi qui con noi con la loro richiesta “cessate il fuoco “, portata sui loro corpi in lutto, vestite di nero, una fascia bianca al braccio, senza simboli né bandiere perché ciascuna di loro esprime la necessità di azioni vere e concrete di pace e di non restare indifferenti di fronte al dolore che ogni guerra porta con sé.
Perché la guerra è orrore e produce orrori: i nazisti invasori e i fascisti torturarono in modo sistematico e scientifico, assassinarono i partigiani, massacrarono le popolazioni civili, deportarono gli ebrei, gli oppositori nei campi di sterminio e internarono i prigionieri politici, impiccarono ragazzini, bruciarono case e chiese.
Quando ricordiamo le stragi nazifasciste di Boves, Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema, le fosse ardeatine, sappiamo che non è servito a nulla dire “mai più una cosa del genere”. Perché l’odio può sempre generare orrori e guerre.
Dobbiamo condannare le barbarie sapendo che non esistono guerre pulite, perché l’uomo non uccide per mangiare ma per ottenere dal vinto i l riconoscimento della sua superiorità, perché le guerre hanno il volto dei bambini privati dell’infanzia.
Quello che è successo a Mariupol, in Israele, nella striscia di Gaza è già successo in Siria o in Yemen.
Si può sempre risvegliare l’aggressività dell’uomo se ogni giorno la cultura e la scuola non arginano il fenomeno.
Il nazismo e il fascismo hanno dimostrato che non sempre “chi pensa il bene fa il bene” e che si può pensare in modo eccellente anche il male.
e come ci ricorda l’illustre prof. Luciano Canfora il fascismo non è mai morto.
Per questo non è inutile chiarire ai nostri giovani cosa è il fascismo.
Il fascismo nasce nel mito della forza e della violenza, della disuguaglianza delle nazioni, delle razze e dei sessi. Nasce da un concetto totalitario e assoluto di nazione.
La nostra democrazia seppur imperfetta è invece costruita sull’uguaglianza.
Occorre però un’evoluzione culturale che ci porti dall’idea del nemico all’idea della fratellanza che si è persa.
Perché democrazia e libertà sono scatole vuole senza umanità.
E quello che oggi spesso manca è proprio un sentimento di umanità.
Come ci ammonisce il prof. Umberto Galimberti, non dobbiamo dimenticare che siamo cittadini del mondo e non possiamo pensarci solo come membri di uno stato bensì membri di una umanità con uguale interesse a preservare la vita, una umanità che ha cura di sé, degli altri esseri umani, degli esseri viventi e del pianeta.
Per affrontare l’emergenza climatica in atto dobbiamo difendere la terra prima di difendere lo Stato Perché è interesse comune difendere la terra.
Parole come speranza, auspicio, augurio sono tute parole della passività che si pensa portino rimedio ai danni del presente: non è così continua il prof. galimberti. “o ti dai da fare o il fatto di sperare non ti porta da nessuna parte”.
E allora torniamo ad umanizzare la nostra società, piccola o grande che sia, per strapparla al cinismo, al menefreghismo, alla freddezza dell’indifferenza, al “io non sono razzista però”.
Il nostro mediterraneo custodisce tanti, troppi morti senza nome. Morti che vengono dai più indicati come immigrati, extracomunitari,..
Siamo veramente abili nel dare una definizione a tutto e a tutti, ma non siamo più capaci di parlare di persone, di esseri umani.
Invece dietro ogni persona c’è una storia. Dietro ogni migrante c’è una storia. E lo sa bene l’Italia che nel suo passato ha lunghe e dolorose migrazioni, che nel 1800 e 1900 ha visto partire 30milioni di persone per le americhe, l’australia e altri paesi lontani.
Parlare di numeri è facile. Ad un certo punto c’è pure i l rischio che intervenga l’assuefazione. Ma le cose bisogna vederle. Quantomeno ascoltarle.
Se non vogliamo perdere uno dei grandi insegnamenti del 25 Aprile, cioè il vivere la nostra comunità come soggetti attivi, dobbiamo tornare a contribuire alla crescita morale della comunità.
Il non farlo lascia spazio a comportamenti scorretti e illegali: degradare e sporcare le città, non pagare le tasse, non rispettare gli spazi comuni, non essere un buon amministratore pubblico o un buon politico.
Dobbiamo tornare a vivere con gli occhi, la mente e il cuore ben aperti, osservando ciò che accade vicino ma anche lontano da noi, assumendo ciascuno il proprio pezzetto di responsabilità per quanto accade.
Dobbiamo indignarci di fronte ai raduni e al riorganizzarsi di gruppi con le camice nere che inneggiano al fascismo perché a noi quelle cose lì non piacciono.
Nel 1946 si tornava liberamente alle urne e per la prima volta finalmente anche le donne. Con percentuali oggi impensabili si votava per le comunali, per i l referendum, per l’assemblea costituente.
La democrazia italiana ha una lunga storia di alta partecipazione innanzi tutto elettorale.
Com’è possibile che oggi sono sempre di più gli elettori che non si recano alle urne e il partito del non voto è ormai stabilmente il primo partito in Italia?
La democrazia è fatta dall’espressione del voto, segreto e libero da ogni condizionamento, da ogni pressione, da ogni promessa di scambio, da ogni ricatto.
Diceva don Aldo Benevelli: “mi guardo attorno e vedo tanta gente che ha paura del futuro e si rintana nel proprio guscio. E invece il mondo avrebbe bisogno di una rivoluzione civile per riportare all’ordine del giorno i valori della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità. Sarà di questo che dovremo rispondere a dio nel giorno in cui saremo chiamati davanti a lui”.
la memoria non può essere fatta sol o di parole di circostanza ma deve diventare impegno.
Perché la democrazia è fatta anche di cose pratiche: la sanità pubblica per tutti, il diritto allo studio anche per i meno abbienti, gli asili, lavoro per tutti ma anche sicurezza sul lavoro.
Morire in fabbrica, nei cantieri, nei campi, in qualsiasi luogo di lavoro è inaccettabile, un fardello insopportabile per le nostre coscienze, soprattutto quando dietro agli incidenti si scopre la mancata o la non corretta applicazione di norme e procedure. Perché la sicurezza sul lavoro non è un costo, Nè tantomeno un lusso, ma un dovere cui corrisponde un diritto inalienabile di ogni persona.
la democrazia è fatta di una stampa libera. Non ci può essere democrazia senza una stampa libera. Perché la democrazia sta nelle mani del popolo che deve essere informato e consapevole per prendere decisioni.
La democrazia è fatta di una cultura che riconosce alla donna di essere padrona del proprio corpo, che riconosce il ruolo della donna nella società e sia capace di porre fine ai femminicidi, alla violenza domestica e di genere.
Perché ancora oggi in Italia una donna viene uccisa ogni tre giorni da un uomo . Continuano incessanti e inaccettabili le violenze sessuali, i maltrattamenti e le molestie, lo stalking, la violenza psicologica e quella economica, il revenge porn e la violenza digitale. Le leggi ci sono. È la cultura che manca!
Dobbiamo educare alla non violenza i nostri figli abituandoli sin da piccoli alla condivisione e all’ascolto. Dobbiamo educare gli uomini alla cultura del rispetto in famiglia e nel quotidiano.
Dobbiamo insegnare ai nostri giovani che non è affatto vero che la ragione sta sempre col più forte, ma che diventando partigiani degli ultimi, di chi soffre, di chi è malato, di chi è in difficoltà, hanno già vinto e saranno liberi e forti nell’inseguire i loro sogni e nel lottare per realizzarli.
Dobbiamo difendere la scuola, la scuola pubblica perché la scuola, come diceva Calamandrei, è il completamento necessario del suffragio universale.
Dobbiamo impegnarci tutti per una cultura della legalità che è qualcosa di più della semplice osservanza delle leggi.
Dobbiamo essere esempio e insegnare ai giovani la libertà del dovere, contro le mafie, la criminalità organizzata e contro la corruzione.
Dobbiamo aprire una battaglia vera contro la povertà e non contro i poveri.
Non dobbiamo dimostrarci immaturi, incapaci di autodisciplina, incapaci di stima e benevolenza verso gli altri, non dobbiamo scandalizzare con risse, pigrizie, divisioni, egoismo, brama di potere, capricci morali.
Non sono questi gli esempi della Resistenza. Non possiamo dimostrarci così ai giovani.
Ha scritto il partigiano giacomo ulivi in una lettera agli amici mai spedita: “no, non dite di essere scoraggiati, di non volerne più sapere. Pensate che tutto è successo perché non ne avete più voluto sapere”.
E ancora Antonio Gramsci: “mi sono convinto che quando tutto è o pare perduto bisogna rimettersi tranquillamente all’opera, ricominciando dall’inizio”.
Non avremo dunque l’Italia sognata nella resistenza e nella carta costituzionale antifascista se non riusciremo a ricostruire un patrimonio morale, una coscienza civile matura e responsabile basata su umanità, fratellanza, solidarietà, uguaglianza, legalità, giustizia sociale ma anche sulla capacità di provare sdegno, indignazione contro le manifestazioni di fascismo ovunque sempre più evidenti.
e allora , buon 25 Aprile Mondovì.
Continuiamo ad amare la nostra carta costituzionale antifascista e antirazzista, proteggiamo la nostra libertà di scegliere da che parte stare.
Viva l’umanità libera che crede nella pace e difende sempre i diritti umani che devono essere di tutti ma proprio di tutti.

 

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