Può accadere alcune volte di venire a conoscenza di una notizia o di una scoperta scientifica che risveglia in noi un ricordo legato alla finzione, come la recente scoperta di un sistema solare di 7 pianeti abitabili non troppo distanti dalla terra. Una notizia che non cambierà in maniera pratica le nostre vite, ma sicuramente ha acceso l’interesse e spinto a viaggiare con la testa molte persone.
La fantascienza è vissuta su storie come questa, calamitando continuamente appassionati, pronti a lanciarsi come Ulisse oltre le colonne d’Ercole bramosi di avventura e vinti da un irrefrenabile desiderio di scoperta, come il primo cinema delle attrazioni di Georges Méliès dove il viaggio interstellare era visto quale sinonimo di progresso e di futuro, e l’ambizione dell’uomo era prendere parte alle imprese più alte. Una svolta verso un discorso più complesso si ha con i lavori di Stanley Kubrik , dove l’universo prende una deriva filosofica legata al pensiero mistico e il viaggio diviene un percorso introspettivo. Le opere più attuali spingono ad affrontare il tema in modo sociale ed ecologico, il viaggio è visto come miraggio di sopravvivenza e non più solo come desiderio di conoscenza; anche il cinema nostrano ha fornito il suo contributo, capeggiato dai registi Mario Bava e Antonio “Anthony Dawson” Margheriti, autori di veri e propri cult che hanno ispirato una generazione di cineasti di cui ora andremo ad analizzare alcuni titoli.
Partendo da Interstellar (2014) di Christopher Nolan, il cui lavoro è forse quello che più si avvicina alla notizia in questione; il fascino della scoperta e del viaggio pioneristico incontra la parte ecologista, intrisa di un pessimismo di fondo dove l’umanità si aggrappa alla scienza, unico barlume di luce. Si affronta inoltre la problematica del raggiungere luoghi così distanti con teorie che sforano nel paradosso, ma che rendono ancora più intrigante l'idea del viaggio impossibile. Il recente Passengers (2016) parla degli inconvenienti a cui si va incontro in un lungo periodo di ibernazione nel viaggio per raggiungere una colonia, inconveniente simile è avvenuto in Pandorum (2009), ma con risvolti psicologici completamente differenti: nel primo l’isolamento del singolo spinge al desiderio di unione per poter raggiungere la salvezza, mentre nel secondo diviene follia e annichilimento della collettività. Con Avatar (2009) si torna ad un impatto visivo più spettacolare, con ampio uso degli effetti speciali e un rispolverato 3D, un velato positivismo e tematiche di coabitazione e adattamento, ambientato in paesaggi mozzafiato, come quelli che consentono a Slartibartfast di vincere numerosi premi come costruttore di pianeti in Guida galattica per autostoppisti (2005), dove i protagonisti peregrinano continuamente per il cosmo, nell’ironico adattamento del romanzo di Douglas Adams. Another earth (2011) e Melancholia (2011) sono opere dai profondi connotati filosofici, i corpi celesti che si palesano di fronte alla terra sono infatti metafore di uno stato d’animo, di un'analisi introspettiva in un percorso sofferto. Nel primo caso una fedele e misteriosa riproduzione della terra appare nei nostri cieli trasferendo una sensazione di inquietudine e aprendo numerosi interrogativi, il secondo è denso di simbolismo e il pianeta è un’affascinante minaccia incombente su di noi, intrisa di incubi e false illusioni. A differenza degli altri film citati i pianeti qui si avviccinano alla terra e rappresentano le nostre debolezze e le nostre speranze che ci troviamo costretti ad affrontare nostro malgrado, pronte a distruggerci o a salvarci.