"BoJack Horseman" (2014) di Raphael Bob-Waksberg è una serie animata televisiva creata dall'autore - un comico statunitense - in esclusiva per Netflix, giunta proprio in questi giorni alla quarta stagione (diffusa online su Netflix dall'8 settembre). In un panorama delle serie televisive rivolte a un pubblico adulto (o comunque non infantile) ormai sempre più vasto, la serie si distingue per la sua particolare maturità.
1987: "Horsing Around" e "The Simpsons".
Il protagonista, BoJack Horseman appunto, è un cavallo antropomorfo che vive in un mondo popolato da umani e da creature zoomorfe in pari grado. Si tratta di un attore ormai sul viale del tramonto, diventato famoso per una classica sitcom, "Horsing Around", del 1987 (lo stesso anno dei "Simpson" di Matt Groening, che inaugurano questo "nuovo corso" del cartoon).
BoJack si aggira privo di scopo nel nevrastenico "dietro le quinte" di Hollywood, tra colleghi attori, produttori, manager, agenti, sceneggiatori e così via. In questo aspetto la serie potrebbe sembrare una sorta di "Boris" americano a cartone animato, per citare la nota serie dedicata a mostrare cosa sta dietro alla televisione italiana: ma la satira, pur gustosa, del mondo hollywoodiano è solo un pretesto per uno scavo profondo, ironico ma amarissimo, sulla psicologia dei protagonisti.
Rispetto ad altre serie tv "adulte", dai Simpson in poi, BoJack Horseman si distingue infatti, innanzitutto, per una continuity molto più serrata, con le azioni dei protagonisti che hanno conseguenze a lungo tempo e che modificano in modo permanente gli ambienti stessi del cartoon, ma soprattutto i rapporti interpersonali e la loro coscienza. In secondo luogo, sotto la patina di un sarcasmo divertente, il cartoon ha un nocciolo amaro e cupo: BoJack, giunto alla soglia dei cinquant'anni, cerca disperatamente di fare un bilancio della sua vita, riallacciando vecchi rapporti perduti e superando la sua incapacità di relazionarsi. Ne emerge un personaggio complesso, come tutti i comprimari, ognuno intrappolato nel suo personaggio sociale da cui cerca, prevalentemente senza successo, di evadere.
("Krazy Kat" e "Maus")
Il riferimento di fondo sembra essere alla "letteratura losangelena", quella di James Ellroy e Raymond Chandler, dove la cronaca da "American Tabloid" serve da spunto di partenza per un'indagine a tutto campo sulle ossessioni umane. La fusione con un tratto volutamente cartoonistico, coloratissimo e semplificato, accentua la paradossalità delle situazioni, rendendo più efficace il non-sense esistenziale che la serie punta a trasmettere. I disegni della fumettista Lisa Hanawalt sembrano decostruire il segno fumettistico di un grande dell'illustrazione per bambini come Richard Scarry: l'operazione sembra analoga a quella operata da Art Spiegelman in Maus, dove il fumettista di origini ebraiche, per raccontare la Shoah, sceglieva il segno essenziale di George Herriman in "Krazy Kat".
Scarry / Hanawalt.
Qui, invece, il segno infantile di Scarry serve a illustrare il vuoto sottile della vita contemporanea, nell'angoscia esistenziale del postmoderno, tra la solitudine dell'individuo e la disfunzionalità del sistema famigliare, una sofferenza mascherata sotto un rutilante schermo di colori e luci (di Hollywood: ma non solo). Insomma, con BoJack Horseman il cartoon è ormai divenuto pienamente adulto, dimostrando di poter parlare efficacemente, con gli strumenti suoi propri, di qualsiasi tipo di tema.