Con una decisione di mercoledì 25 gennaio, la Corte costituzionale ha accolto i ricorsi su quello che era considerato il punto qualificante della nuova legge elettorale per la Camera, il cosiddetto “Italicum”. Bocciato, quindi, il ballottaggio, quello che, nel caso in cui nessuna lista avesse raggiunto al primo turno il 40% dei voti, avrebbe visto confrontarsi le due liste più votate. L’obiezione di fondo contro questa norma si fondava sulla mancata previsione di una soglia minima di voti comunque necessaria per accedere allo spareggio. Il rischio era che una lista giunta seconda nella prima tornata con una quota limitata di voti potesse arrivare al ballottaggio e vincerlo, conquistando il “premio” di una robusta maggioranza alla Camera (340 deputati) con un numero molto basso di consensi.
C’era poi anche da considerare la situazione determinata dal “No” al referendum sulla riforma costituzionale e, quindi, la persistenza di due rami del Parlamento chiamati a votare la fiducia al governo, il che rendeva poco ragionevole un sistema così fortemente maggioritario nella sola Camera dei deputati.
Nella nota ufficiale si legge che la Corte “ha rigettato la questione di costituzionalità relativa alla previsione del premio di maggioranza al primo turno, sollevata dal Tribunale di Genova, e ha invece accolto le questioni, sollevate dai Tribunali di Torino, Perugia, Trieste e Genova, relative al turno di ballottaggio, dichiarando l’illegittimità costituzionale delle disposizioni che lo prevedono”. Quindi resta in piedi il premio in termini di seggi che l’Italicum prevedeva al primo turno per la lista che avesse raggiunto il 40% dei voti, soglia evidentemente considerata sufficiente per motivare l’assegnazione di una maggioranza di deputati. C’è insomma proporzione tra la rinuncia a una quota di proporzionalità e il beneficio della governabilità che si otterrebbe con il premio.
Il ricorso alla Corte di Appello di Torino porta la firma monregalese di Fabiana Dadone, deputata 5 Stelle. Che dichiara: «La consulta ha bocciato la legge elettorale Italicum (definita da Renzi la più bella del mondo) in seguito anche al mio ricorso presentato alla Corte di Appello di Torino. Era una legge "talmente bella" che per approvarla non si è seguito l' iter legislativo ordinario ma il Governo ha chiesto il voto di fiducia impedendo quindi la discussione in aula. Non era mai successo che una legge elettorale venisse approvata con tale modalità, prevaricando tutte le forze politiche. Sottolineo che tutti i parlamentari della provincia di Cuneo hanno votato a testa bassa a favore della fiducia o hanno abbandonato l'aula nonostante fosse evidente che questa legge era incostituzionale perché presentava le stesse criticità del Porcellum: premio di maggioranza abnorme e senza soglia di sbarramento al ballottaggio (che avrebbe permesso potenzialmente a un partito col 7% di ottenere la maggioranza dei seggi) e possibilità del capolista eletto in piú collegi di scegliere a sua discrezione il collegio d'elezione. La sottoscritta, è stata costretta, quindi, a presentare ricorso al Tribunale di Torino che ha trasmesso gli atti alla Corte Costituzionale affinché la stessa decidesse se la legge elettorale fosse conforme alla Costituzione. Tutto ciò per evitare che il prossimo Parlamento non fosse illegittimo come lo è questo che, è bene ricordare, è figlio del Porcellum. Mi avessero ascoltato non saremmo arrivati a questo punto».
La Consulta “ha inoltre accolto la questione, sollevata dagli stessi Tribunali, relativa alla disposizione che consentiva al capolista eletto in più collegi di scegliere a sua discrezione il proprio collegio d’elezione. A seguito di questa dichiarazione di incostituzionalità, sopravvive comunque, allo stato, il criterio residuale del sorteggio... non censurato nelle ordinanze di rimessione”. In pratica, la possibilità del capolista candidato in più collegi di scegliere a piacere in quale di questi collegi risultare eletto, a prescindere dai voti ottenuti e facendo di fatto eleggere i secondi candidati dei collegi non prescelti, creava una disparità tra gli elettori. Sarà invece un sorteggio a decidere il collegio di elezione. Una norma che può suonare un po’ singolare, tanto che la stessa nota della Corte tiene a precisare che il sorteggio (previsto da un decreto del 1957), non essendo stato sottoposto al suo giudizio, sopravvive come regola residuale ma senza che ciò implichi alcuna indicazione specifica da parte dei giudici costituzionali.
La nota precisa che tutte le altre questioni sono state dichiarate inammissibili o non fondate, quindi resta in vigore la norma che prevede i “capilista bloccati”, cioè eletti automaticamente qualora la lista ottenga dei seggi. Con l’Italicum, infatti, le preferenze possono essere espresse a partire dal secondo in lista. A giudizio della Corte la norma, discussa sul piano politico, non è però in contrasto con la Costituzione.
Molto importante la frase finale della nota: “All’esito della sentenza, la legge elettorale è suscettibile di immediata applicazione”. Quindi il sistema che rimane in piedi può funzionare senza la necessità di interventi legislativi. Questo è un principio che la Consulta ha sempre affermato perché non è possibile che un organo costituzionale sia lasciato nell’impossibilità di operare. Era avvenuto già con la sentenza del 2014 sulla legge elettorale del 2005, al punto che la legge residua (attualmente valida per il Senato, in quanto l’Italicum ha riformato solo la legge della Camera) viene chiamata nel linguaggio giornalistico “Consultellum”, cioè la legge della Consulta.
E ora? Il presidente Mattarella, già al termine delle consultazioni per il nuovo governo, ha avuto modo di affermare che prima di tornare alle urne (tra un anno la legislatura arriverà comunque alla scadenza naturale) è necessario armonizzare le leggi elettorali dei due rami del Parlamento. Adesso al Senato abbiamo un sistema proporzionale con alcune soglie di sbarramento. Alla Camera un sistema proporzionale con soglie di sbarramento (diverse dal Senato, ma non sarebbe questo il problema decisivo) e soprattutto con un premio di maggioranza, anche se legato alla condizione di fatto, che al momento non pare probabile, che una delle liste ottenga il 40%.
Finora tutto sembrava appeso alla decisione della Corte costituzionale. Adesso la politica dovrà tornare ad assumersi le sue responsabilità, nell’interesse del Paese.