Contagio: quando la “peste” è tema di analisi

Arte, cinema e letteratura si sono serviti delle malattie come strumento per raccontare altro

di VITER LUNA - GIOVANNI RIZZI - MARIKA MANGINI - LORENZO BARBERIS

Alcune delle immagini che più impressionarono il pubblico televisivo negli anni ‘80 avevano a che fare con il terrore e la paura descritta e raccontata nelle scene della grande miniserie televisiva trasmessa dalla grande miniserie televisiva trasmessa dalla Rai nel 1982 su Marco Polo. In uno dei primi episodi viene ripresa la messa a fuoco delle navi sullo stretto di a causa della peste. La malattia è spesso uno dei primi peste. La malattia è spesso una dei primi elementi attraverso cui siamo portati a confrontarci con la paura in una dimensione non puramente immaginifica, ma connessa al reale. E la malattia è stata spesso nelle arti un ottimo strumento di metafora con cui raccontare la debolezza dell'uomo nel proprio senso di finitezza. Dalle descrizioni di Manzoni nei Promessi Sposi, che fece un lavoro di ricostruzione degno di importanza storica, ai cineasti che in tutto il '900 si sono confrontati con il tema, malattia e contagio sono stati modalità di auto-analisi e di critica alla società: dall'incapacità di badare a sé stessi al tema super-omismo che raggiunge il paradossale se diventa isteria o noncuranza di ciò che si tiene in dote, come nelle "12 scimmie" di Terry Gilliam.

Pandemia e psicosi secondo Gilliam

Nel larghissimo ventaglio di possibili scenari pandemici, forniti dalla cinematografia di fantascienza, la pellicola del visionario Terry Gilliam è quella più aderente alla nostra attualità. La sensibilità a tematiche sociali, fraintese e inquinate da estremismi, sono alla radice di un sentimento giustizialista che spinge un gruppo di eco-terroristi a diffondere un virus che sterminerà il 99% della popolazione. La pellicola uscita nel 1995 non anticipa tanto la velocità di diffusione del virus, quanto quella della sua psicosi: la cifra simbolicamente ci avvicina alla quasi totalità, al numero di individui raggiunti complessivamente da una facile informazione, la stessa che oggi è dominata dalla paura del contagio, e prima ancora dallo stato di salute del pianeta. Non c'è in Gilliam la volontà di fornirci una soluzione, bensì di spingerci a una riflessione, attraverso le vicende del protagonista, giunto dal futuro e depositario di una conoscenza dei fatti scambiata per follia, sintomo di una società incapace di riconoscere la previsione veritiera dal deliro, salvo poi mostrarsi tardiva nel correggersi, tanto da richiedere l'uso di un impossibile viaggio nel tempo.

Camus e l'epidemia

Negli anni ’40, in una Orano nella morsa dell’epidemia di peste, Rieux, il protagonista del romanzo di Camus non smette di combattere il morbo letale, mentre la città blindata diventa teatro di un’umanità infetta e affetta da un male che sembra affondare le radici nella natura dell’uomo, rendendo la peste allegoria dell’esistenza stessa. Di fronte allo spettro del contagio, che inizia con una moria di ratti e si espande con febbre e bubboni fino alla più atroce agonia, la città algerina risponde con voci discordanti: chi nega il pericolo, chi si chiude in totale isolamento. Per qualcuno punizione divina, per qualcun’ altro occasione per arricchirsi, il male è per il medico Rieux, qualcosa da combattere per dovere, senza eroismo ma senza resa. Nel morbo si reincarnano metaforicamente i grandi mali del ‘900 (la guerra, il nazifascismo) a cui è necessario rispondere con la volontà e la resistenza, pur consapevoli che il bacillo della peste non muore mai, può dormire per decenni aspettando pazientemente, ma non scompare.

Manzoni e la credulità umana

Di fronte all’attuale problema del Coronavirus, la mente dell’insegnante d’italiano corre inevitabilmente a Manzoni, ai “Promessi Sposi” e alla peste del 1630, portata dai lanzichenecchi di Wallenstein durante il loro passaggio nel milanese. Naturalmente, periodi diversi, epidemie non comparabili: certo. Ma quello che resta simile è il meccanismo di fake news, diremmo oggi, di dicerie, voci incontrollate, venefici pettegolezzi che accompagnano il contagio vero e proprio. La pseudoscienza oggi gode di minor credito di allora, quando il sapere ufficiale era quello di Don Ferrante, ossessionato dalla causa astrologica della pestilenze, dalla congiunzione tra Giove e Saturno che provoca la distruzione. Ma il complottismo prospera sovrano ieri come oggi, e nel ‘600 manzoniano trovò la sua incarnazione nell’ossessione per gli untori, inviati dalla Francia per far cadere i domini spagnoli (anche Renzo ne cade vittima mentre cerca Lucia nella Milano devastata dal morbo). Speriamo che oggi trovino minor fortuna: anche se le premesse quotidiane che vediamo non sono delle migliori.

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