25 Aprile – 75 anni di Libertà

di FRANCESCO MAROCCO

Quali i frutti della Resistenza? Il primo, forse il più importante, non fu di ordine militare, ma morale. La Resistenza dimostrò a noi stessi e al mondo l’impegno di un popolo nel voler riconquistare la sua dignità e la sua libertà, schierandosi dalla parte delle nazioni democratiche. La libertà non ci fu recata in dono, ma la conquistammo con le unghie e con i denti. Del resto già Mazzini affermava che “più della servitù temeva la libertà recata in dono”.

Ma la Resistenza ci permise anche di presentarci, con De Gasperi nel 1946, al tavolo della pace, se non a testa alta (eravamo pur sempre stati ex alleati di Hitler), in atteggiamento dignitoso. Senza il contributo di quella lotta alla vittoria alleata, ben più gravi sarebbero state le mutilazioni. Abbiamo perduto l’Istria, Briga e Tenda, ma abbiamo salvato Gorizia, Grado, Aquileia, Trieste, la Valle d’Aosta, Ventimiglia: terre su cui volgevano sguardi cupidi i nostri vicini dal confine di destra e da quello di sinistra.

Ma il frutto più prezioso scaturito dalla Resistenza è stata la nostra Costituzione repubblicana. Essa è la codificazione scritta di quei valori per i quali si batterono e morirono, piansero e soffrirono gli italiani in quei lunghi venti mesi: libertà, indipendenza, ma anche giustizia e solidarietà, uguaglianza di tutti, dignità del lavoro e di chi lavora, pace e ripudio della guerra. Costituzione scaturita da apporti delle culture e delle ideologie di cui erano stati portatori gli uomini della Resistenza: cultura marxista, cultura cattolica, cultura liberale (di quel liberalismo propugnato da Piero Gobetti, mai sceso a compromessi col fascismo). Costituzione che lungo gli anni ha garantito al nostro Paese, pur in momenti difficili, libertà, pace, progresso, democrazia. Può aver bisogno di saggi adeguamenti, ma va difesa da possibili rischi di involuzione autoritaria.

Quali insegnamenti ci trasmette oggi la Resistenza a tanti anni da quegli avvenimenti? Tra i molti, ne raccolgo tre. Il primo è: ricordare. Ricordare che “tutto questo è stato”, per dirla con le parole lapidarie di Primo Levi. Ricordare Auschwitz, Buchenwaldt, Terezin, dove furono rinchiusi migliaia di bambini innocenti. Ricordare Mauthausen, dove morirono Guido Calleri e Piero Garelli; il campo femminile di Rawensbruck, un inferno da cui riuscì a tornare Lidia Beccaria Rolfi per farsi testimone instancabile di quegli orrori e del dovere di non dimenticare. Ricordare Marzabotto, S. Anna di Stazzema, Boves... e tanti altri nostri paesi incendiati e terrorizzati. Ricordare le sofferenze, i rastrellamenti, le rappresaglie; le fughe, i nascondigli, il freddo, la fame. Ricordare gli incendi, le impiccagioni, le torture; gli spaventi, le angosce. Le famiglie in attesa di notizie e di ritorni impossibili...

“Tutto questo è stato”. E non va dimenticato, perché “quel mostro stava per dominare il mondo. I popoli lo spensero; ma il grembo da cui nacque è ancora fecondo”. Così fecondo che, dopo le guerre e le invasioni, dopo i lager e i gulag, ha partorito altri innumerevoli mostri. Mostri che si chiamano Vietnam, Cambogia, Pinochet, desaparecidos... Che si chiamano Ruanda, Somalia e altre feroci contese africane, pulizia etnica nell’ex Jugoslavia, in Cecenia... Violenze, attacchi proditori, minacce atomiche, terrorismo, torture... Ventre ben fecondo, se ancora oggi la tolleranza, la comprensione, la solidarietà verso i poveri e gli emarginati sembrano a volte segni di debolezza e non segni di forza della democrazia e della civiltà.

Il secondo messaggio è un invito a restare uniti in difesa della Libertà. La credevamo acquisita per sempre; ma dobbiamo prendere coscienza dei pericoli a cui va incontro. Libertà, fiore di molti colori ma delicato, va preservata da subdoli stravolgimenti, da rischi di involuzioni autoritarie.

Il terzo e più pressante invito, che viene dalla Resistenza, è la difesa della Costituzione Repubblicana, cioè della nostra carta fondamentale in cui la libertà si concretizza, si articola e diventa giustizia e solidarietà: valori senza i quali la libertà è nome vano. Per non essere un nome vano la libertà deve, con l’impegno di tutti, diventare uguaglianza e pari dignità per gli uomini di ogni razza, colore, lingua, religione. Deve diventare pace e rinuncia alla guerra. Diventare lotta alla illegalità e alla corruzione. Diventare rifiuto di leggi studiate per qualcuno e non per tutti. Diventare ritorno agli ideali che ispirarono gli uomini che combatterono e morirono per un loro sogno e per tutti noi. Deve diventare possibilità di ripresa morale e civile prima ancora che economica. Diventare speranza fiduciosa in un futuro meno difficile, meno oscuro e meno incerto. Diventare garanzia e tutela del regime democratico. Ci invitano a percorrere o a riprendere a nostra volta questo cammino di rinnovamento le parole che i Caduti della Resistenza ci inviano dai loro cimiteri sui monti o nelle Langhe. “A voi opere degne chiediamo affinché il sogno nel quale morimmo viva nella vostra vita”. Queste le parole che il partigiano villanovese prof. Giovanni Bessone, poco prima di morire dettò per il Sacrario di Certosa di Pesio. Un monito valido sempre.

E valga anche come risposta a chi ha “ringraziato” la pandemia d’aver… spazzato via la memoria del 25 aprile!

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