“Quarantena di ricordi”: premio speciale a Lucia Imarisio per il racconto “Io, virus”

Il brano che trovate pubblicato in questa pagina, “Io, virus”, è sicuramente un racconto particolare. Spiazzante, non convenzionale – soprattutto se consideriamo l’età dell’autrice Lucia Imarisio, 14 anni, di Vicoforte (nel 2018 è stata anche eletta "sindaco dei ragazzi" a Vicoforte). Era uno dei racconti che hanno partecipato al concorso letterario “Quarantena di ricordi”, bandito dal Circolo delle Idee dei giovani di Mondovì in primavera. Tuttavia, per ragioni legate proprio all’età anagrafica dell’autrice (il concorso era riservato a scrittori dai 15 ai 34 anni), il brano avrebbe dovuto essere escluso. Ma questo è emerso solo dopo che la giuria lo aveva letto e valutato, premiandone la forza narrativa e l’audacia. Dunque si è scelto di ricordarlo con una menzione speciale. Fuori concorso, ma niente affatto fuori tema. Anche se il titolo lascia intuire chiaramente dove voglia “andare a parare” Lucia Imarisio, preferiamo non anticipare troppo del racconto. È però certo che un brano del genere, soprattutto ora che l’epidemia è tornata a livelli di allarme, colpisce. E, in certo senso, può addirittura “ferire”: per il suo tono lontanissimo da quello a cui siamo abituati dalla narrazione cronistica e perché, sotto un linguaggio quasi da fiaba per bambini, sbatte in faccia al lettore un tema quasi tabu. Siamo consapevoli (e lo sarà di certo anche l’autrice) che un racconto come questo – soprattutto nella sua conclusione – può risultare “forte”, addirittura sino al punto di far male. Proprio per questo, la sua efficacia narrativa è fuori discussione
m.t.

 

Io, virus

di Lucia Imarisio

Da sempre viviamo in quello che noi chiamiamo comunemente “sottobosco”. Qui siamo liberi di creare delle nostre piccole comunità, legandoci a piccoli animali spesso a noi sconosciuti, e di trovare modi per nutrirci e riprodurci. Non è molto entusiasmante, come vita, a dire la verità. La nostra massima aspirazione rimane quella di riuscire a legarci ai Giganti. Ogni tanto ci capita di vederli da lontano: sono molto più grandi degli esseri in cui viviamo, si muovono spesso insieme, formando gruppi numerosi. I più anziani della nostra comunità mi hanno raccontato che in passato alcuni di noi erano riusciti ad attaccarsi a loro, e quei fortunati si erano sparsi in lungo e in largo, arrivando ovunque. Viaggiando sulle mani, sui vestiti, sugli oggetti dei Giganti, i miei antenati erano riusciti a vedere il mondo. A me non era mai successo, prima d’ora.
Qualche mese fa, un mio pro-pro-pro zio era riuscito a saltare fuori dalla sacca di un pipistrello e ad entrare in quella di un piccolo roditore. E da lì, si era avvicinato ai Giganti. Era riuscito addirittura a legarcisi. Poi aveva iniziato a riprodursi. E a riprodursi. E a riprodursi. E alla fine sono nato io, insieme ad altre migliaia di fratelli. Mi sono poi separato da loro, e ho iniziato il mio viaggio, a bordo di uno strano oggetto rettangolare, lucido, luminoso, che i Giganti tengono continuamente in mano. Spesso se lo avvicinano addirittura al viso. Grazie a questa strana scatola, mi sono aggrappato a un Gigante, che poco dopo si è avvicinato ad un mostro, lungo e grigio, che lo ha inghiottito. All’interno del mostro, si è seduto molto vicino a tanti, tanti altri Giganti, ed io ero libero di spostarmi dall’uno all’altro. Alla fine ne ho scelto uno che aveva un odore particolarmente confortante e ho fatto quello che solitamente noi facciamo: ho iniziato a creare un contatto tra me e lui. Il mio Gigante mi portava in giro sempre con sé, ed io ero davvero felice di poterlo accompagnare. Finalmente avevo un amico, anche se lui non mi conosceva. Avevo già iniziato a creare tanti fratelli simili a me, e stavamo davvero bene con lui. Avevo finalmente capito come mai vivere in loro compagnia ci attirasse tanto: era facile procurarci da mangiare, e lo era ancora di più spargerci ovunque. Per quelli come noi non esiste condizione migliore. Il mio amico Gigante amava passare il tempo con i suoi simili, e questo non faceva che migliorare la mia situazione.
Un giorno però, si è accorto della mia presenza e allora le cose sono cambiate. Probabilmente gli stavo simpatico e preferiva passare più tempo con me che con altri. Rimaneva sempre da solo, in una stanza tutta bianca, dove saltuariamente entrava un Gigante travestito da fantasma che usciva dopo poco. Spesso controllava quello strano aggeggio su cui avevo viaggiato, e si lamentava, dicendo che non era felice, che si sentiva solo e stanco. Se il mio amico non era felice non lo ero neanche io, ma riuscivo a compensare quella tristezza con la sensazione di caldo riparo che il Gigante mi offriva. Nei giorni seguenti, però, le visite dei fantasmi erano sempre più frequenti, e pensavo che questo avrebbe rincuorato il mio amico, ma al contrario, lui non parlava e non si muoveva. C’era uno strano tubo che gli entrava nella bocca, e io speravo davvero che lo avrebbe fatto stare meglio, ma più il tempo passava, più mi accorgevo che anche dentro il Gigante c’era qualcosa che non andava. Tutto diventava più freddo e non riuscivo a nutrirmi e a riprodurmi come prima. Un giorno avevo preso un’importante decisione: avrei salutato il mio Gigante e avrei trovato un nuovo amico con cui creare un contatto. Mi ricordavo la facilità con cui mi ero trasferito da uno all’altro nella pancia di quel mostro, e credevo che avrebbe funzionato anche questa volta. Non avevo fatto i conti con l’intelligenza dei Giganti, però, che si erano allontanati tra loro, una volta che ci avevano notati: avevano fatto in modo di non ritrovarsi più in tanti nello stesso posto, di non scambiarsi più quegli strani oggetti che portavano sempre con loro e di pulire tutto ciò che gli altri toccavano. Non avevo, e non ho, modo di scappare. Il mio Gigante è sempre più freddo, e lo sento distante. Non riesco più a nutrirmi e a riprodurmi. Ormai l’ho capito. Io, Virus, morirò, ma sono contento di farlo accompagnato dal mio amico.

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