La salute dell’informazione nell’era Covid: “Le persone cercano fonti credibili”

Dibattito serrato sul palco del Festival della tv di Dogliani tra: Claudio Cerasa (direttore de "Il Foglio"), Stefano Feltri (direttore di Domani), Maurizio Molinari (direttore di Repubblica", Mario Sechi (direttore agenzia AGI) e Andrea Malaguti (La Stampa) mediata da Francesco Piccinini

La salute dell’informazione, soprattutto in questo tempo di Covid. Era questo il tema “pesante” affrontato sabato pomeriggio sul palco del Festival della tv di Dogliani. Le voci coinvolte: Claudio Cerasa (direttore de "Il Foglio"), Stefano Feltri (direttore di “Domani”), Maurizio Molinari (direttore di “Repubblica"), Mario Sechi (direttore agenzia AGI) e Andrea Malaguti (La Stampa) con la mediazione di Francesco Piccinini.
Un tempo di crescita per il mondo dell’informazione, ma anche di riflessioni su quando fatto e sugli errori commessi. Un’informazione che affronta ed esce da questo periodo “più adulta e più vaccinata” e “la pandemia ci ha ricordato che l’informazione non è più strumento di lotta politica” secondo alcuni dei giudizi formulati.

Certo “Ho visto tante cose che non mi sono piaciute – ha sottolineato Stefano Feltri -. Non dovremmo rifare le interviste ai virologi, i professionisti della comunicazioni siamo noi, non loro. C’è stata una timidezza della nostra categoria che ha mandato avanti solo la scienza. L’intervista è sempre una scorciatoia. L’altro errore è stato l’utilizzo dei dati dove sono state prese delle cantonate”.
Claudio Cerasa: “Non tutti i virologi hanno dimostrato di essere abbastanza competenti per fotografare cosa stava accadendo. Il difficile era provare a capire cosa sarebbe successo dopo e molti hanno sbagliato e anche tra noi giornalisti è successo. È stato comunque un periodo incredibile, enorme, con un impatto devastante. Nelle redazioni si è capito ancora di più che bisognava accelerare e far funzionare al meglio il lato manageriale”.
La pandemia, secondo Molinari, ha segnato uno “spartiacque dal punto di vista organizzativo. Poi i lettori hanno chiesto sempre più contenuti digitali. La carta resta il prodotto principe, ma servivano nuove organizzazioni per la produzione di contenuti digitali, 24 ore su 24.”.
Per Malaguti: “La pandemia è arrivata addosso a tutti. Quando è esplosa l’emergenza il nostro gruppo di emergenza faceva il giornale in mezzo alle rotative. Di fronte ad un fenomeno nuovo serviva una lingua nuova e interlocutori nuovi. Il nostro sito internet durante la pandemia è esploso: le persone hanno bisogno di sapere da fonti che ritengono credibili”.
Mario Sechi: “Come agenzia di stampa ci ha insegnato ad essere più precisi e distillare meglio le fonti. All’informazione la pandemia è servita”

Il dibattito si è poi spostato sul futuro delle donne in reazione, tra i passi avanti e le cose ancora da fare. “Bisogna dare tutte le possibilità alle donne per lavorare, all’interno delle redazioni non ci sono differenza. Qualità, merito e bravura devono prevalere, senza mortificare nessuno” il pensiero comune. “Nessuno ragiona più in termini di uomini e donne” ha sottolineato Maurizio Molinari. “Bisogna nominarle - ha insistito Sechi - Devono essere i direttori a fare questo percorso”.

E suoi nuovi media, i giornali sono su TikTok? “Noi ancora noi – ha sottolineato Andrea Malaguti – siamo in una fase di transizione, ma bisogna rimodulare la capacità di trasmettere le informazioni. Servono giovani e tecnici in grado di far funzionare i vari sistemi perché ogni piattaforma ha risposte diverse. Solo non bisogna modificare la credibilità della fonte, questo è il tema più importante di tutti”. Un passo che invece sta affrontando “Repubblica” in un territorio ancora da esplorare.
Sul futuro: “Prima della pandemia c’era una certa sfiducia nei confronti delle testate ufficiali – ha sottolineato Cerasa -, invece questa fase ha ridato un ruolo di credibilità fortissimo di fronte a tante informazioni incontrollate. Questa è una stagione di grande responsabilità per chiunque faccia contenuti editoriali. Concetti che dovranno essere tenuti presenti anche quando l’emergenza finirà”.
“La credibilità della carta rafforza anche i contenuti digitali – ha concluso Molinari -. Non è importante il numero di pagine, ma cosa c’è scritto. Quanto vale un articolo. La sfida è produrre qualità: questo può garantire la sopravvivenza e attirare utenti. Non bisogna insistere sulla quantità”. “Serve identità, la capacità di veicolare opinioni di qualità” ha concluso Cerasa.

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