Piet Mondrian: proiezioni di un artista

Venerdì scorso è stata inaugurata a Cuneo, presso il nuovo Spazio Innovazione della Fondazione Crc, una mostra unica nel suo genere: niente originali ma una nuova tecnologia, per ripercorrere il percorso artistico di Piet Mondrian.

La prima domanda che sale, quasi spontaneamente, alle labbra, nonostante possa apparire piuttosto superficiale, è questa:

«Perché proprio Mondrian?»

Ci sarebbe modo di inquadrarla meglio, spiegando ed argomentando, ma non ce n’è bisogno. Andrea Lerda ne coglie immediatamente lo spirito. Andrea è il curatore scientifico, insieme a Ilaria Porotto, dell’allestimento della mostra “Piet Mondrian Universale”, con cui la Fondazione Crc ha inaugurato il nuovo Spazio Innov@zione a Cuneo. Un percorso che sfrutta una tecnologia tutta nuova per avvicinare il visitatore all'opera dell'artista, coinvolgerlo e aiutarlo a esplorare il suo percorso artistico. Perché, dunque, scegliere un autore così difficile, un astrattista, come soggetto per una mostra che ha bisogno, nella sua novità, di manifestare tutte le proprie potenzialità al pubblico in modo chiaro, e possibilmente, colpire. Perché non scegliere un autore più comunicativo, più immediatamente comprensibile? In una parola più popolare? In queste sale siamo completamente circondati da proiezioni, luci, suoni, immagini in movimento. Impossibile non pensare all’impatto di una tecnologia come questa, immersiva, luminosa, coinvolgente applicata, ad esempio, a un artista come Monet… «In realtà il fatto che sia un autore poco immediato è perfetto per un progetto come questo, consente di mostrare tutta la forza divulgativa di questa iniziativa, che permette di fare un viaggio all’interno della poetica di un autore e comprenderlo meglio. Principalmente però abbiamo scelto Mondrian perché è un artista fondamentale, un precursore dei tempi, che nei suoi scritti e nelle sue intenzioni aveva immaginato, per la sua arte, proprio un allestimento di questo tipo». Andrea ci indica una scritta su una parete, nella prima sala. Recita: «Chi verrà in sala potrà ammirare le pitture neoplastiche appese alle pareti o, ancor meglio, se i mezzi tecnici lo permetteranno, proiettate».

«Mondrian aveva immaginato qualcosa del genere per i suoi lavori. Prima ancora dell’esposizione delle tele, la proiezione delle stesse, in una loro dimensione più viva, attraverso il colore. In qualche modo questa mostra si avvicina alle sue idee originali di artista».

Il regista Alessandro Marrazzo presenta il percorso, insieme al presidente della Fondazione Crc, Giandomenico Genta

Una mostra senza opere. O meglio, senza opere originali: questo è il paradosso di quanto è stato allestito nelle sale della Fondazione. E non ci sono oggetti in esposizione: poche bacheche, al massimo due. Le sale sono interamente nude, con l’eccezione dei proiettori e di qualche scritta sul pavimento, al di fuori dell’orario di servizio. Quando però la mostra è aperta, quei cubi asettici e bianchi diventano lo studio di Mondrian, nel caso della prima sala, o una galleria interattiva, in cui i quadri si trasformano gli uni negli altri, mostrando allo spettatore nel modo più immediato l’evoluzione della sua ricerca pittorica. L’idea della prima sala è molto suggestiva: riprodurre l’ambiente dello studio parigino dell’artista, con un occhio di riguardo per le sue geometrie. Dal modellino, visibile poco prima nell’anticamera, alle proiezioni video, tutto sembra marcare, tracciare, in modo quasi ossessivo, le forme geometriche in cui è diviso lo spazio. Le ombre delle vetrate, le assi del pavimento, il rettangolo del cassettone e dei mobili. I quadratini del foglio in cui l’artista prende appunti; la forma della tela, intorno alla quale si adopera, proiettando la sua ombra sul muro come se fosse lì, accanto agli spettatori. Le origini di tutta la sua ricerca: il desiderio di andare alla radice,  sia cromatica che geometrica, delle cose; stilizzando la complessità del reale alla ricerca delle sue fondamenta più autentiche. Un concetto già percorso da artisti precedenti (pensiamo a Cézanne) e condiviso con le avanguardie a lui contemporanee, come il cubismo. Tuttavia in Mondrian l’esito è sorprendente: perchè raggiunti i minimi termini figurativi la sua ricerca non si arresta. Vuole penetrare le radici più profonde, l’essenza della cose, indagare la parte metafisica della loro esistenza. Inizia a lavorare sul colore e sulle forme geometriche. Linee, campiture, colori accostati sulle tele, colori primari, quelli che poi vanno a formare gli altri. «Mi sono chiesto, se fosse vissuto più anni, dove lo avrebbe portato quella sua ricerca – racconta Alessandro Marrazzo, l’uomo che ha progettato fisicamente l’allestimento, curato la regia dei video e messo a punto l’innovativa tecnologia Lighting Touch – mi sono risposto che probabilmente dai colori sarebbe approdato unicamente al bianco, che contiene nello spettro tutti i colori, e il nero, la loro assenza. Poi sarebbero probabilmente spariti anche quelli, lasciando spazio solo alla linea. E dopo? La linea è un concetto geometrico, un insieme di infiniti punti. Perciò mi piace pensare che sarebbe arrivato al punto, prima o poi, come oggetto della sua indagine. Per questo il suo ritratto, in questa prima sala, è in bianco e nero, con una tecnica puntinista. È l’omaggio che ho voluto riservare a questo grandissimo artista».

Nell’anticamera della mostra, appena entrati nello spazio, c’è un grosso tavolo, ricco di luce e colori: mostra la fortuna dell’opera di Mondrian, il peso che alcune delle sue opere hanno avuto sul design, sull’arte, sulla grafica contemporanea. Il minimalismo e lo stile grafico, che combina la razionalità della forma geometrica con una composizione asimmetrica, sono alla base di molte tendenze del design moderno. Tra le altre cose, è esposto un modellino della celebre “Sedia rossa e blu” di Gerri Rietveld, contemporanea alla ricerca geometrica più matura di Mondrian, esempio perfetto di come il pensiero artistico veicolato da Mondrian e da Theo Van Doesburg nella rivista Der Stijl fosse espressione di un sentire comune a molti artisti. Dalle pagine del periodico i concetti del Neoplasticismo hanno avuto la loro teorizzazione più precisa.

L’ultima sala della mostra è riservato alle influenze sonore contemporanee all’artista olandese. Gli spettatori, indossando le cuffie, possono fermarsi davanti ad alcune postazioni ed ascoltare esempi della musica che Mondrian amava ascoltare, in particolare il jazz che furoreggiava all’epoca. Anche questa è una tecnologia innovativa, che sta prendendo piede nelle mostre nel mondo. Ad esempio è alla base della celebrata “Pink Floyd: Their Mortal Remains” che attualmente è al Victoria and Albert Museum di Londra, ma che dovrebbe approdare a breve in Italia.

Del tutto inedita è invece la Lighting Touch, la tecnologia che consente allo spettatore di interagire con le proiezioni sui muri toccandole, come in un comune touch screen. Concordo il verbo al femminile e non al maschile perché non è nel muro, il segreto dell'interazione, ma nella proiezione stessa. Non ci sono strumenti di interfaccia di alcun tipo: il semplice tocco sui segnali proiettati è sufficiente. Se si pensa allo stato di alcuni apparati interattivi in alcune mostre, molti mesi dopo l’apertura, appaiono evidenti i vantaggi, in termini di manutenzione e costi, di una scelta del genere.

Non ci sono opere originali in mostra, un fatto davvero singolare per un evento che è, a tutti gli effetti, uno dei più importanti della stagione culturale cuneese. Certo, l’attrattiva di una mostra del genere è più legata alla didattica e alla divulgazione e il suo fine è diverso da quello di un’esposizione canonica. Naturalmente il tema può dare adito a infiniti spunti di riflessione, su tanti fronti: uno su tutti il suo peso nel futuro del fare cultura (ovviamente una tecnologia del genere è applicabile a tutti i campi, non solo all’arte). Non è questa la sede, naturalmente per esplorarli tutti, ma è interessante soffermarsi su quello lanciato da Andrea Lerda, nel corso della conversazione. Con l’arte del Novecento, con la nascita della fotografia e del cinema, il concetto di "opera originale" ha richiesto ulteriori riflessioni. Ci si è accorti che in alcuni casi particolari poteva andare in crisi, non funzionare più con la stessa precisione. Walter Benjamin, con il suo “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” ha dato un contributo fondamentale al dibattito. Con il progredire dell’arte contemporanea, con le installazioni, la video art e una sempre più pervasiva presenza del digitale, cosa resta del concetto di originale? Uno sguardo in avanti, ragionevolmente, fa pensare che, con il progredire degli anni, dal concetto di “opera originale” svanirà ogni connotazione materiale, per lasciare posto soltanto alla sua dimensione intellettuale. In qualche modo la mostra di Cuneo, nella sua natura paradossale, ci costringe a confrontarci anche con questo rovello.

                   

L'esposizione è visitabile:

il martedì e giovedì dalle ore 9 alle 13;

venerdì dalle 9 alle 13 e dalle 17 alle 20;

sabato e domenica dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 19.

L’ingresso è libero.

Per maggiori informazioni è possibile telefonare allo 0171/452720,

visitare il sito Internet www.spazioinnovazione.com o la pagina FaceBook @Inarte FondazioneCRC. 

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