È difficile parlare del "Mi aMi" (che gli aficionàdos chiamano, e che da ora leggerete, Miami, ndr) nei termini in cui si parlerebbe di un altro qualsiasi festival o rassegna a sfondo musicale. Non perché la tre giorni del Magnolia sia strutturalmente diversa o abbia una line-up più importante di altre manifestazioni analoghe, intendiamoci. È che sostanzialmente il Miami, per il segmento di mercato a cui si rivolge, è più di un festival: è un appuntamento immancabile, un raduno. Al Miami c’è tutto quello che nel frenetico panorama musicale italiano ha funzionato nei mesi antecedenti e quello che è in procinto di funzionare nei successivi, c’è tanta arte, anche figurativa (bellissimi i concerti illustrati in tempo reale sul palco Raffles), ma pochissime fregnacce sull’arte (deo gratias). Nessun accenno di elitarismo, nessun maître à penser. Tanta partecipazione, un generazionale senso di appartenenza, cori sguaiati, pogo e sudore.
Per tutta questa serie di motivi mi sembrerebbe quasi riduttivo limitare questo articolo a considerazioni meramente tecniche: l’esperienza milanese mi ha lasciato in dote immagini, suoni e colori che vanno ben oltre la pur nutrita scaletta.
Quest’edizione passerà agli annali come quella dell’esordio di Liberato, collettivo di artisti (sul palco si sono presentati Calcutta, Izi, la giovanissima e talentuosa Priestess e DJ Shablo, per la cronaca) su cui aleggia ancora mistero: un capolavoro di marketing in grado di creare un’interesse fuori dal comune e apparentemente senza fondamento.
Sarà ricordata come l’edizione di ‘Zucchero Filato’, con il refrain dell’omonimo brano di Gazzelle cantato a squarciagola in ogni tempo morto, a volte ai limiti dell’inopportuno, sarà ricordata come l’edizione delle magliette su cui campeggia la scritta “froci” sopra al simbolo della Nike (sicuramente oggetto più venduto della rassegna).
E poi, naturalmente, le esibizioni: i Pop_X che hanno portato all’estremo la loro presenza scenica eccessiva e dissacrante, coadiuvati da una partecipazione totale del pubblico, concretizzatasi con lo sfondamento delle transenne e l’ovvia conclusione dello show, un Vasco Brondi molto puntuale e addirittura a sprazzi sorridente, gli attesissimi Carl Brave x Franco126, il cui album è già uno dei migliori lavori del 2017 nostrano. Coez, Mecna, Dutch Nazari e Murubutu, esponenti di un rap “alternativo” che sconfina facilmente ora nel pop ora nel cantautorato, l’elettronica percussiva di Bruno Belissimo e dei Demonology Hi-Fi, la consacrazione dei Canova, tra i più coinvolgenti, come realtà valida e affermata nel panorama pop-rock. Nessuna sbavatura per gli impeccabili Baustelle, dei quali però mi piace sottolineare un aspetto secondario e più “frivolo”: le foto di Bianconi e Bastreghi (immortalata anche con una giacca griffata ‘Liberato’, per inciso) con Paradiso e Calcutta, a dimostrazione del fatto che anche musicisti preparati, competenti e con una certa storia alle spalle a volte possono riuscire a prendersi un po’ meno sul serio, mettendo da parte questioni di principio che lasciano decisamene il tempo che trovano: forse qualche giudice di x-factor, pardon, “rockstar”, potrebbe prendere spunto.
Menzione finale per l’onnipresente Tommaso Paradiso. É ovunque, sempre. Non ce ne si può liberare, c’è anche quando non c’è. Sale sul palco per un dj set molto improvvisato sabato notte, si prende grossolanamente la scena e raccoglie applausi e insulti. Si diverte, gode di tutte le attenzioni che il pubblico comunque non gli fa mancare. Un istrione fatto e finito, ma in fondo gli si vuole bene.