Chi l’ha detto che la musica per essere nuova e fresca debba per forza guardare al comune adagio di “seguire l’aria che tira”. Può darsi; ma non è una affermazione che può essere calzante per i Public Service Broadcasting. Qualche informazione sulla band visto che con the Race for the Space questo duo londinese è giunto appena al secondo Full Lenght (a cui si sommano due Ep) nell’arco di due anni. Lo pseudonimo musicale è costituito da J. Willgoose Esq. (chitarre, banjo e strumenti a corda vari) e da Wrigglesworth (batterie, piano e strumentazioni elettroniche) che producono musica strumentale e vivono quasi in simbiosi con gli scantinati del British Film Institute, da cui attingono i materiali utilizzati per i loro lavori. Dal punto di vista tecnico, infatti, i PSB prendono spunti (oltreché campioni e registrazioni) da vecchi film, filmati di repertorio e materiale di propaganda, riportandone in vita l’anima decaduta attraverso il suono, una pasta sonora costruita come una sovrastruttura aggiunta che rende il risultato finale decisamente avveniristico oltreché futuribile. La struttura del progetto artistico che aveva stupito per la sua forte carica emozionale nel 2013 con l’uscita di Inform, Educate, Entertain, si sviluppa lungo la stessa falsa riga anche in questo secondo lavoro. “È un po’ frustrante quando ci chiedono quale sia il nostro rapporto con la ‘nostalgia’ – dice il direttore generale di Public Service Broadcasting, J. Willgoose, Esq –. I campioni provengono dagli archivi, ma le canzoni non utilizzano per niente musica del passato o di un certo periodo storico. Prendiamo gli aspetti del passato e li inquadriamo in atmosfere del tutto nuove, per collegarle al presente”.
L’aspetto più interessante sta nell’equilibrio con cui i generi si sostengono l’uno con l’altro, la base è il rock (portato anche verso le sue derive più “post”) e il pop, e per come la band sia riuscita a ridefinire l’immaginario collettivo del concept album, senza snaturarne l’anima. La scelta in the Race for Space, come sottende lo stesso titolo, è quella della corsa allo spazio e da un periodo storico a cavallo tra gli anni ‘60 (prendendo pure le code del decennio precedente e prolungandosi nei primi anni di quello successivo). E tutto il viaggio nel quale i PBS ci conducono è una lunga rievocazione storica di quella corsa agli armamenti che contraddistinse il periodo più caldo della Guerra Fredda: dallo storico discorso di Kennedy nell’omonima traccia di apertura al disco ai due brani successivi intitolati Sputnik e Gagarin.
Quella dei PBS è un’autentica sorpresa in termini di suono e di offerta compositiva, dove il termine “fusion” non diventa un grande calderone per nascondere al suo interno un’infinità di rimandi raffazzonati a vari generi, ma per dare alla luce un suono nuovo, denso e pieno di fascino, dove i Mogwai vanno a passeggio con il Mike Oldfield di Tubolar Bells e dove si ritrovano sonorità prog, echi di Fugazi e di tanto altro rock.
Public Service Broadcasting “the Race for Space” 2015, Test Card Recordings. Rock
È il Ritorno al Futuro
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