Raid nel deserto con la “Panda”: il racconto di Alberto e Davide

Alberto Ferrero e Davide Quaglia al ritorno dal “Panda Raid”, il rally da Madrid a Marrakech.

Alberto Ferrero e Davide Quaglia al ritorno dal “Panda Raid”, il rally da Madrid a Marrakech, che li ha visti partecipare con una “vecchia” Fiat Panda prima serie, unica auto ammessa alla competizione, assieme alla “Seat Marbella”, hanno raccontato la loro avventura a “L’Unione Monregalese”, cui avevano affidato, alla partenza, le loro impressioni. Lo ricordiamo, la Panda aveva il numero “213”, lo stesso – frutto del caso – con cui nel 1984, un altro equipaggio di cui faceva parte lo scomparso architetto Paolo Contegiacomo, col cuneese Cesare Giraudo, aveva partecipato alla Parigi-Dakar.

Come è iniziato il viaggio?
Prima da Ceva a Madrid, sempre sulla stessa Panda, poi, dopo 24 ore di viaggio e poche ore di riposo, abbiamo iniziato il raid vero e proprio la mattina di sabato 4 marzo da Madrid, per trasferirci ad Almeria dove in nottata abbiamo preso il traghetto che ci ha portato a Nador in Marocco. Lì è cominciato veramente il raid di 3.500 km, di cui mille su sterrato, che hanno messo a dura prova le nostre “scatolette”.

Come era strutturata la gara?
La classifica si basava su prove di regolarità e il primo giorno ci siamo piazzati in fondo classifica perché non avevamo ben capito come funzionava il sistema di punti. Dal secondo giorno in poi, però, siamo riusciti interpretare meglio la gara e abbiamo scalato 200 posizioni. Abbiamo notato che, come un po’ ci aspettavamo, la gara non era incentrata sulla performance velocistica della vettura ma più che altro sull’affidabilità delle componenti più sollecitate, come ad esempio il motore e gli ammortizzatori. Anche lo stile di guida aveva la sua importanza: vedevamo equipaggi superarci brillantemente durante la giornata per poi passare la nottata a riparare la macchina nell’accampamento. Noi, da bravi ingegneri e soprattutto avendo smontato e rimontato la vettura, avevamo un po’ più di cura nei confronti del nostro mezzo, e questo ci ha ripagato perché siamo arrivati in fondo alla gara senza nessun guasto meccanico, ma comunque divertendoci.

Come eravate organizzati durante il raid?
Ci siamo alternati alla guida, essendo le tappe di circa 200-300 chilometri, durante i quali guidavamo metà ciascuno, e possiamo assicurare che 150 chilometri di sterrato in una giornata su un mezzo come il nostro stancano abbastanza fisicamente e mentalmente il pilota. Abbiamo attraversato scenari molto diversi, dal passo di montagna all’oasi, al lago salato, al deserto arido pietroso, alla pietraia da fare in prima marcia con tutte le cautele, alle famigerate dune del deserto, dove immancabilmente ci siamo bloccati perché abbiamo avuto un problema elettrico proprio in quel momento. Una delle più grandi soddisfazioni l’abbiamo avuta proprio lì: mentre eravamo bloccati nella sabbia siamo stati in grado di uscirne con le nostre sole forze.

Un’esperienza unica anche dal punto di vista culturale?
Abbiamo conosciuto belle persone, appassionate ognuno a suo modo. Sicuramente un elemento comune è stato quel pizzico di follia che ci contagiava tutti. Paradossalmente, i momenti in cui siamo stati in difficoltà sono stati in mezzo al traffico delle grandi città, dove il motore, surriscaldandosi, ripresentava un problema di alimentazione che ci imponeva brevi soste. Siamo poi tornati da Tangeri a Savona in nave, evitandoci altri 2 mila chilometri di autostrada che la macchina, seppure instancabile, forse non avrebbe sopportato.

Il vostro bilancio finale?
L’esperienza è stata molto soddisfacente soprattutto per il fatto di esserci preparati completamente da soli o quasi la vettura. Abbiamo imparato che in questo tipo di competizioni paga molto la semplicità, perché anche se c’è il supporto meccanico dell’organizzazione, bisogna sapersela cavare in qualsiasi situazione, e il ridurre tutto all’osso aiuta a individuare eventuali problemi. Anche i locali sono stati all’altezza delle aspettative; non ci siamo mai sentiti in pericolo, il Paese è molto moderno e anche le parti rurali più sperdute sono accoglienti nei confronti del turista straniero. L’organizzazione poi è stata eccellente, infatti ogni sera veniva montato un accampamento capace di accogliere 300 vetture e sfamare 600 persone, con tanto di bar dove si poteva bere il buonissimo tè verde tipico del Marocco. Nell’insieme, il tutto è stato poco oneroso, relativamente poco rischioso e molto soddisfacente. Abbiamo visto persone di tutte le età, dal neo patentato al settantenne, e per questo motivo consigliamo il raid a chiunque voglia uscire, per una settimana, dalla solita routine. Pensiamo infatti che sia terapeutico staccare tutto e pensare esclusivamente al proprio e mezzo, alla tappa successiva, al prossimo guado. Aiuta in qualche modo a svuotare la testa e ristabilire le priorità.

Alberto Ferrero e Davide Quaglia venerdì 31 marzo, in mattinata, incontreranno gli allievi del CFP di Ceva. Poteranno la “Panda 213” in visione e racconteranno la loro esperienza. Come si ricorda, allievi e docenti del CFP avevano collaborato per realizzare alcune modifiche della vettura e renderla pronta ad affrontare il desento.

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