Questa volta non vi consigliamo una serie Netflix, ma due serie che affrontano un tema simile da due punti di vista diversi.
Dopo la vittoria di Trump in USA, il tema delle tensioni etniche è tornato prepotentemente alla ribalta: la fine della presidenza democratica Obama ha creato una profonda disillusione nelle speranze di cambiamento sociale, e le violenze di (parte della) polizia - da inserire nel contesto di una società, quella americana, dove il possesso e l'uso delle armi è molto più diffuso che da noi - hanno portato alla crescita del movimento "Black Lives Matter".
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Un primo approccio è quello del poliziesco “Seven Seconds”, che va a indagare le tensioni etniche presenti nella società statunitense non nello scenario urbano, come è più frequente, ma nell’apparente tranquillità della suburbia. Un giovane poliziotto fuori servizio investe un ragazzino nero di buona famiglia mentre corre in ospedale dalla moglie incinta ricoverata d’urgenza. Il suo caposquadra alla narcotici, lo spietato e corrotto Mike DiAngelo, ordina però di coprire l’incidente, che rischia di mettere a rischio i delicati equilibri del suo potere nel dipartimento di polizia e in città.
La cosa più interessante è la capacità della serie – ideata da Veena Sud – di proporre un ritratto sfumato e non manicheo di questa tensione sociale di estrema attualità negli USA. I “cattivi” sono spregevoli, ma non in modo superomistico, e appaiono in tutta la loro meschinità e contraddizione; e nemmeno i buoni sono tratteggiati in modo totalmente positivo. Ma anche il procuratore nero e donna K.J. Harper e il poliziotto Joe “Fish” Rinaldi, che isolati cercano di fare giustizia, sono figure non prive di ombre e debolezze umane.
Insomma uno spaccato interessante dei conflitti americani, una riflessione non scontata sul ruolo della legge e delle forze dell’ordine, in una serie in cui (certo non per caso) domina sul paesaggio una statua della Libertà vista da dietro, dai sobborghi alle spalle di New York. L’American Dream ha voltato le spalle ai suoi sognatori?
L'altro tipo di approccio al tema è quello di "Dear White People", "Carissimi bianchi": una serie - per ora, in due stagioni - che parla della ragazza afroamericana Sam White che conduce l'omonimo programma radiofonico in un campus a maggioranza bianca. Il registro è qui di tipo comico, ma non mancano momenti di tensione legati alla presenza di polizia privata nel campus, che Sam - fra le sue molte battaglie - cerca di far disarmare. Il tema del telefilm è però più quello delle cosiddette "microaggressioni", l'accumulo di svantaggi relativamente "minori" che colpiscono gli afroamericani. In particolare, il focus è sul mondo del campus universitario, con le sue ipocrisie, le sue tensioni più sottili - ma non assenti - tra gruppi etnici, politici e culturali.
Con la lente deformante della satira, e con un punto di vista chiaramente schierato dalla parte della sua protagonista, la serie è uno spaccato interessante di questo kulturkampf più virtuale che reale, ma non insignificante (Trump ha vinto la sua battaglia, in fondo, grazie al suo "esercito di memers di destra") La satira dei Wasp (White Anglo-Saxon Protestants) della rivista "Pastiche", il troll-hater AltIwy (con la sua schiera di followers) e le antiche confraternite iniziatiche contro Sam e gli altri "social justice warriors" (secondo l'etichetta dispregiativa delle destre).
Insomma, due prospettive - il poliziesco e il genere comico - che si confermano in grado di darci uno spaccato interessante di un presente americano, non privo di possibili influssi - presenti e futuri - anche qui da noi.