La lettera che leggete qua sotto ci è giunta da un’infermiera. Vive nel nostro territorio e lavora in un ospedale, non rileveremo altri dettagli su di lei.
«Sono un’infermiera e voglio sfogare e far conoscere a tutti la mia rabbia per ciò che mi sta succedendo e per come viene gestita questa drammatica situazione. Ho avuto un contatto con una persona positiva al covid mentre prestavo la mia attività lavorativa e dopo pochi giorni, al termine di un turno di lavoro, ho iniziato ad avere sintomi riconducibili al covid 19, come pure inizialmente dubbi per una comune influenza: febbre mai oltre i 37,7, mal di gola, dolore al petto e retrosternale, fiato corto e senso di spossatezza quasi paragonabile ad una letargia. Per fortuna, già da diversi giorni mi ero autoisolata dal mio bimbo di pochi anni e dalla mia famiglia per paura di contagiarli. Ho contattato il 1500 che ha registrato i miei dati. Mi è stato detto di fare riferimento al mio medico curante e che mi avrebbero ricontattata per verificare l’andamento: non mi ha mai chiamato nessuno (era il 13 marzo)».
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La lettera prosegue: «Passano 2 giorni e la sintomatologia non regredisce, anzi aumenta. Nel frattempo so di altri colleghi dell’Ospedale ricoverati o a casa anche con sintomi gravi. Nei giorni seguenti ho provato ripetutamente a chiamare la mia azienda. Alla fine mi è stato detto di recarmi in Ospedale per essere sottoposta a tampone. A oggi, non sono mai stata ricontattata. Ho vissuto per giorni autoisolata, con la paura di peggiorare e di non reggere psicologicamente. Dopo un’altra settimana ho iniziato a stare leggermente meglio, ma del tampone ancora nulla. Ad oggi siamo arrivati al dodicesimo giorno di attesa (ci sono colleghi che li aspettano dall’11 marzo) e tutto questo è assolutamente vergognoso. Sono dovuta andare in ospedale ad eseguire il tampone con il rischio di contagiosità, avrei potuto contagiare la mia famiglia. Sono ancora in auto isolamento e non posso neppure vedere mio figlio, un bimbo di 4 anni. Il risultato del tampone sarà ancora attendibile? Ci sono colleghi che hanno eseguito il tampone e che ora stanno bene: vorrebbero rientrare a lavorare, ma non possono fino a esito tampone… Continuo a sentire giornalmente di colleghi che si ammalano per carenza di dispositivi di protezione personale e per come viene gestita l’emergenza. Ho la rabbia di non poter essere curata, rimettermi in forza e tornare quanto prima a lavorare… che è quello che vogliamo tutti noi infermieri: essere in prima linea anche in situazioni in cui metti a repentaglio la tua stessa salute».
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