L’orrore dei lager: mai dimenticare

Martedì 27 gennaio è la "Giornata della memoria", nell'anniversario della liberazione di Auschiwtz.

Il senso della "Giornata della memoria" è anche è soprattutto quello di imprimere nella coscienza italiana l’immagine della responsabilità. Una cultura che ha permesso la Shoah ha solo due vie di uscita: la dimenticanza che assolve senza giudicare, archivia senza capire, lasciando intatto un male che può sempre riprodursi, ma l’altra via di uscita, la sola moralmente accettabile, è ricordare. La "Giornata della memoria" è infatti dedicato alle vittime della Shoah e della deportazione dei militari e dei politici che non si sono piegati. Sapere, pensare, ricordare… è dovere di tutti ed è tributo ai giusti che si sono opposti e hanno impedito in tal modo che leggi e comportamenti folli, oltre che vergognosi, contagiassero tutto il Paese, la sua immagine, la sua storia. Ripensando alla tragedia immane dell’Olocausto, proponiamo – grazie all’analisi di Giuliana Bagnasco – spunti di attenzione su due testi interessanti che giungono dal mondo israelita di appena ieri. Il volume del rabbino Toaff riporta vicende rivisitate all’insegna dell’umorismo ebraico. L’autore è personalità indiscussa. L’altro volume (di Marika Held) impone l’obbligo morale del ricordo dello sterminio viaggiando nel cuore di un sopravvissuto.

Mondovì, così si vivrà la "Giornata della memoria"

Definita una serie di iniziative dal Comune di Mondovì in occasione del 27 gennaio, "Giorno della memoria", e del 10 febbraio, "Giorno del ricordo". «Due date – afferma il sindaco Viglione – che richiamano eventi terribili della storia recente e che Mondovì commemora con convinzione. Perché i valori della giustizia, del rispetto verso gli altri e della pace non si trasmettono automaticamente, ma vanno continuamente affermati e sostenuti. Vanno difesi con forza perché la storia insegna che neppure le lezioni più orrende rendono il mondo più buono e per sempre. A questo serve la forza della memoria, il miglior antidoto per impedire che mai più abbiano a ripetersi l’orrore delle atrocità del passato, e per costruire un domani sempre migliore».

Ecco il programma delle iniziative:

ore 9,30 - Cimitero urbano - deposizione corona alla Stele posta all’esterno del Cimitero

ore 9,45 - Scalone dell’Altipiano - deposizione corona al Monumento "Morti per la Libertà"

ore 10 - Scuola media "Anna Frank" - deposizione corona al Monumento alla Shoah

ore 10,15 - Scuola media "Anna Frank": "Chi uccide una sola vita, uccide il mondo intero" a cura degli alunni della Scuola media "Gallo - Cordero - Frank" di Mondovì

ore 11,30 - Teatro "Baretti" - intervento del sindaco di Mondovì, Stefano Viglione; a seguire "Tracce di umanità", a cura degli alunni del Liceo delle Scienze Umane "Rosa Govone"

ore 21 - Sala comunale delle conferenze, proiezione del film: "Arrivederci ragazzi" di Louis Malle; presentazione di Michele Calandri, direttore dell’Istituto storico della Resistenza e della Società contemporanea in provincia di Cuneo.

Leggere per ricordare: "La notte più buia", ritorno al campo di sterminio

Una storia cruda commovente, un viaggio liberatorio nella memoria di Auschwitz, il romanzo di una tragedia ma anche un romanzo d’amore. Nel libro di Marika Held "La notte più buia" (Neri Pozza). Lena è una traduttrice che incontra, all’interno del Tribunale di Francoforte, Heiner Rosseck, giunto da Vienna per testimoniare contro i crimini nazisti di Auschwitz, dove è stato internato. Il suo è viaggio in un luogo in cui nessuno sarebbe entrato, il protagonista viaggia con la sua condanna a morte incontro alla fine, poi sulla morte trionfa. Detenuto politico, Heiner fu imprigionato a 22 anni, aveva lottato contro il nazismo, poi, come reduce, si era accorto che nessuno voleva sentire raccontare l’orrore infinito, decise allora di vivere per raccontare, rendendosi conto che per lui tutto era cambiato: fisicità, linguaggio, poiché non si poteva restituire con freddezza la notte buia vissuta e la parola pareva inadeguata a riportare l’orrore. E’ Lena, il personaggio straordinario che tenta di capirlo, che ascolta all’infinito le sue storie, anche le più raccapriccianti, come quella terribile, persino inenarrabile della notte di Natale in cui i nazisti, dopo aver preparato nel campo un albero addobbato, depositarono delle larve umane, i fratelli della morte, detenuti miserabili, li innaffiarono e li lasciarono ghiacciare a trentaquattro gradi sotto zero. L’esperienza vissuta non si poteva condividere, Heiner cercherà di destreggiarsi nella vita a suon di battute macabre, rimozioni, un umorismo coltivato a difesa di un animo tormentato. Ad animare più profondamente Heiner è Lena. Sarà un’educazione sentimentale che si concluderà proprio in Polonia dove la donna capirà che le ombre di Heiner non potranno svanire mai e proverà un po’ di gelosia per quella tenerezza che i sopravvissuti mostrano l’un l’altro. Quando i due protagonisti si recano a Birkenau e camminano nel lager verso il crematorio, sentono scricchiolare sotto i piedi piccoli resti di esseri umani bruciati. La cosa peggiore non erano le immagini che strappavano Heiner dalla realtà, ma la solitudine in cui si sentiva avvolto, quella distanza che non si poteva misurare con nessun metro tra lui e gli altri. Heiner capiva che non sarebbe mai stato legato a nessun luogo al mondo come ad Auschwitz, il luogo infernale della sua memoria, e lo scrivano della morte si accorge che la macchina dell’assassinio, l’incarnazione dell’omicidio di massa è diventata un museo. Il cielo spudoratamente azzurro, i fiocchi di neve paiono uno scherno: sotto quel cielo, troppi uomini nudi erano andati incontro alla morte. I tre giuramenti sacri: resistere, restare vivo, tornare… si sono materializzati e un libro, dalle splendide esplosioni poetiche, mostra un lato inedito della Shoah, si impone con assoluta evidenza la necessità di ricordare: un tema eterno.

Leggere per ricordare: Un ebreo nel ghetto, che, dopo tutto, sa anche sorridere

Un passato ricostruito con abilità e accurata documentazione, mentre assicura autenticità al periodo esaminato induce al sorriso per la tonalità ironica con cui si ripercorrono le vicende narrate. E’ il volume di Ariel Toaff "Storie fiorentine. Alba e tramonto dell’ebreo del ghetto" (Il Mulino). Le storie fiorentine illuminano memorie di eventi lontani (fine ‘700, inizio ‘800), dove opera un’umanità "minore" entro i confini di un borgo urbano dall’aspetto antico. Sono storie di bottegai di cenci, di giocatori d’azzardo senza soldi, di rabbini frustrati alla ricerca di fama, dentro e fuori dal ghetto, di frati zelanti dalle passioni inappagate, di miserabili dalle origini più disparate. Un’umanità marginale, senza sbocchi. "Nell’Italia di oggi è nata e prospera rigogliosa la moda di mitizzare la presunta epopea del ghetto, si esagera paragonando la vita dei ghetti italiani a quella dei campi di concentramento nazisti e alla Shoah: non sono accostamenti pertinenti". Toaff restituisce al palcoscenico storico e naturale un’umanità semplice, forse ingenua, talvolta astuta e sempre prudente, tenace e fiera, pronta alla resistenza nello sforzo di difendere con le sue deboli forze un’identità antica e irrinunciabile. Sfilano personaggi eccentrici, emblematici, rabbini e convertiti, artisti, uomini che si tuffano, talvolta convertendosi, in un rapporto di attrazione e ripulsa con la società cristiana da cui sono circondati. Si ripercorre la storia di una canzone satirica cantata nelle piazze e nei mercati: "Lo sposalizio della Gnora Luna", che assurge al rango di utile, efficace strumento di castigo sociale nei confronti del mondo ebraico e delle sue pretese di uguaglianza. Si esprime in un dialetto ridicolo con il ricorso frequente a termini ebraici, pronunciati in maniera stravolta come il volgare italiano. All’inizio dell’800, la canzone che irrideva alle cerimonie, ai costumi, alla parlata del ghetto si trasformava in una sorta di opera buffa con risvolti tragicomici e toni truculenti. Oppure si racconta la storia di una pergamena cabalistica o ancora di una grammatica ebraica in volgare toscano, mentre in "Amori proibiti" compare lo stereotipo dell’esagerata potenza erotica e dell’incontinenza sessuale giudaica al servizio di un innato e irrefrenabile disprezzo per le donne cristiane. Del resto, il connubio tra giovani ebrei e monache rinchiuse di malavoglia in convento non era un avvenimento troppo fuori dell’ordinario e talvolta erano anche i preti e altri religiosi di rango a cadere in tentazione e a passare seri guai per essere stati sedotti dalla bellezza muliebre ebraica. Da un immeritato oblio risorgono storie rivisitate in uno sforzo di comprensione che certamente meritano.

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