Distese di prati, carichi di fiori e di una natura che torna alla vita: è primavera, e il bianco predomina su tutto. Gli altri colori che si accostano sono toni pastello che vanno dal giallo al verde, passando per l’azzurro. Non è la descrizione di un quadro, siamo sempre all’interno di una rubrica musicale, ma che cerca di descrivere in immagini le impressioni che esplodono dall’ascolto del primo brano del nuovo disco di Sufjan Stevens. Un disco che mostra una profondità maggiore della media e di cui, se ci si limitasse a descriverne le emozioni in questo modo, si perderebbe completamente il senso.
Due informazioni su Sufjan: americano nato e cresciuto in Michigan, ma il cui nome è di origine persiana (a qualcuno torneranno in mente le “preghiere dei Sufi”) derivante dal movimento spirituale Subud a cui i genitori aderivano. Il suo è un percorso nella cultura alternative a stelle e strisce, attraversando il folk, il pop rock e l’elettronica. Sono passati 10 anni giusti da quando Illinois lo impose sulla scena internazionale (e Chicago, suo brano, venne usato per la colonna sonora di Little Miss Sunshine) e a distanza di tutto questo tempo il trentenne di allora ha vissuto una serie di esperienze che lo hanno segnato profondamente e con cui ha dovuto fare i conti.
I temi principali della sua poetica sono quelli della quotidianità in cui Sufjan si ritrova a parlare di sé stesso, delle sue esperienze personali e di ciò che lo attornia. In Carrie & Lowell ci si entra con maggior dettaglio e profonda intensità; è un disco molto intimo questo. A partire dal titolo, dedicato a Carrie, sua madre, alcolista e schizofrenica e che, morta di tumore pochi anni fa, ha lasciato Sufjan in uno stato di profondo sconforto. Ecco l’esigenza anche musicale di ridurre il più possibile i suoni, nel suo lavoro, all’essenziale: una chitarra acustica, qualche pianoforte qui e là, suoni di sottofondo e ben poco altro.
Se da una parte il disco è dedicato a Carrie, dall’altra Stevens non dimentica chi è rimasto, Lowell, marito della madre (per 5 anni), genitore adottivo e ancora manager della Asthmatic Kitty, l’etichetta di Stevens. Sufjan Stevens è di fatto un artista dell’intimo, antidivo per eccellenza (una promozione del disco alquanto dimessa), in cui la musica diventa espediente curativo della propria umanità e il suo album un percorso a ritroso, quasi un’esigenza psicanalitica (molto celata): guarda e ricorda il passato con animo fanciullesco, si serve di ricordi e riempie il disco di amore, dolore e nostalgia, ma esterna la necessità di superare un lutto, di metabolizzarne le conseguenze e accettare il superamento anche del profondo sconforto. Alla ricerca di una nuova rinascita, di un modo per entrare anche in una nuova fase della propria vita: una primavera, oltreché nei suoni, soprattutto interiore.
Sufjan Stevens “Carrie & Lowell” 2015, Asthmatic Kitty. Folk
La rinascita parte da Carrie
New releases. Sufjan Stevens