Il dr. Luigi Raia, di Napoli, da circa un quinquennio, è medico a Ceva, prima presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale di San Bernardino e poi medico di base nei Comuni di Ceva, Lesegno e Castellino Tanaro. Recentemente il dr. Raia, è stato in Africa e precisamente in una zona del sud del Kenia. «L’Africa, non era la meta dove con il mio gruppo si intendeva andare, ma – racconta il dr. Raia – il viaggio era stata un’opzione così, all’improvviso come capita, in uno di quelle possibilità di cui sai solo all’ultimo momento la destinazione. Poi, che una vacanza potesse trasformarsi in momento di aiuto e di lavoro a favore della popolazione locale e che riuscisse a coinvolgermi trasferendomi così tante e nuove emozioni, non lo avrei mai creduto». Il racconto, del dr. Raia, a questo punto si arricchisce di fotografie scattate alla gente e al luogo, mentre narra di aneddoti e curiosità di questa sua prima “avventura” africana.
«Avevamo avuto conferma solo il mercoledì sera del nostro viaggio con destinazione Africa e neanche un paio di giorni dopo saremmo partiti per il sud del Kenia al confine con la Tanzania con tappe a Kilimangiaro e Mombasa, e con meta finale “Diani Beach”, la città o il villaggio, come la chiamano, “Ukunda”. Giunti nel residence che ci avrebbe ospitato, dopo poche ore abbiamo curiosamente iniziato a muoverci lungo quelle stradine per conoscere il posto ove numerose donne proponevano con discrezione i loro parei, ma il troppo caldo ci ha consigliati di tornare in spiaggia».
«Qui, inizia la nostra avventura: conosciamo Youma e Klody. “Jambo” è il loro saluto. Noi – prosegue il dr. Raia – rispondiamo con un sorriso. Sono due ragazzi ventenni che ci propongono dei portachiavi in mogano. Facciamo due parole, sono simpatici ci sembrano tranquilli. Proponiamo una visita al villaggio, vogliamo raggiungere la Missione dei Padri Missionari della Consolata. Prendiamo “un tuc tuc”, un’ape Piaggio, trasformata in taxi. Dieci minuti e siamo nel cuore di quella che loro chiamano “City”. Quanta miseria! Case a un piano, fatte di calce impastata con paglia, qualcuna con pietre poche con mattoni, niente acqua né tantomeno energia elettrica. Attraversiamo un mercatino arriviamo davanti ad una capanna-scuola con un cortile circondato da una siepe fatta di pochi arbusti rinsecchiti e tanti sguardi di bimbi così espressivi che ti fissano e chiedono solo con lo sguardo. Un’immagine che ci prende al punto tale che si fa fatica trattenere l’emozione. Tanti bimbi, tanti sguardi incuriositi, tutti seduti per terra divisi in due gruppi nella stessa aula che seguono la lezione di due maestre. “Jambodr, jambo…” li salutiamo. Mandiamo Klody a comprare almeno un po’ di caramelle. Un attimo, è già arrivato. Tra i tanti “Jambo”, distribuiamo le caramelle. Quanti sorrisi! Proponiamo di tornarci il prima possibile e annotiamo il nome della scuola. Riprendiamo il nostro giro nel villaggio, bambini dappertutto. C’è anche “Messi” un ragazzino con la maglietta del Barça. Ha un pallone fatto di stracci tenuti insieme da una busta della spazzatura, abbozziamo due tiri, è felice per le caramelle e per vedere un adulto fare il bambino. Non è possibile vivere così. Troppa miseria! Il giorno seguente ritorniamo. La nostra vacanza è stata soprattutto in questo posto. Raggiungiamo la scuola, portiamo lo stretto indispensabile, penne, quaderni, matite colorate, giochini. E’ una “Nursery School”. Qualche genitore ci stringe la mano, i bimbi ci regalano sorrisi, qualcuno con la manina ci invia baci, per un attimo sono stati contenti. Dopo tante emozioni, riprendiamo un “tuc tuc” e rientriamo nel nostro residence. Quanto visto lo porteremo dentro di noi per sempre. Rientrati, incontriamo Martin, un commerciante di souvenirs in legno, e gli diciamo di avvertire tutti quelli della zona che all’indomani ci sarà il “Medical Surgery” gratis. Il giorno dopo infatti, il viottolo viene ripulito. Su due sassi, mettono un pezzo di cartone per creare un minimo di igiene. E si inizia l’ambulatorio di buon mattino. Quanti con discrezione aspettano il loro turno si sentono rassicurati, ti ringraziano con il sorriso. Dopo sette giorni, la nostra vacanza è finita. Non era la nostra meta. Ma, grazie Africa, ci hai profondamente emozionati. Bisogna rientrare, occorre fortemente ritornarci. Non si risolveranno certo i problemi di tutta una città, ma almeno regaleremo sorrisi a tanti bambini».
«È mia intenzione – ha concluso il dr. Rai – iniziare a breve una raccolta di vestiti, matite, colori, quaderni e quant’altro possa servire ai bambini di quella scuola che abbiamo visitato. Intendo portarli di persona nel mio prossimo viaggio che ho in programma di fare al più presto in questo Paese. Forse, sarà questo il cosiddetto “Mal d’Africa”, non so. Di questo mio progetto ho parlato con i miei pazienti di Lesegno e tutti si sono detti solidali e disponibili con me. Vedremo».
Nella foto di Sergio Rizzo, il dr. Luigi Raia e i bambini della scuola in Africa