Le paure, infondate, del vecchio Continente

La si pensi come si vuole, comunque ci sono svolte che vanno affrontate con consapevolezza. E tra questi snodi cruciali oggi sta appunto un “movimento” che tocca tutti, nella vecchia Europa, cioè il migrare di popoli e persone

L’aggettivo epocale talora si spreca ad indicare i fenomeni che ci colgono un po’ alla sprovvista e ci impressionano. E poi ci si riflette su, ricordando che forse oggi non siamo solo in un’epoca di grandi cambiamenti, ma in vero e proprio cambio d’epoca. La si pensi come si vuole, comunque ci sono svolte che vanno affrontate con consapevolezza. E tra questi snodi cruciali oggi sta appunto un “movimento” che tocca tutti, nella vecchia Europa, cioè il migrare di popoli e persone, per le ragioni più diverse, riconducibili alla miseria, alla fame, alle guerre, alle dittature, agli sfruttamenti disumani, agli estremismi terroristici… nelle terre d’origine. Le reazioni (un po’ meno le riflessioni) sono assortite e diffuse. Al bar, al mercato, sulla piazza, in sale d’attesa… la gente ne parla, si esprime in toni talora forti e poco argomentati, spesso le spara anche grosse… Eppure bisognerebbe essere in grado di capire meglio quanto sta succedendo. Per questo non mancano gli spunti persino autorevoli. Ne ho trovato una mancata nell’intervista che il sociologo, carico d’anni e di saggezza, di origini polacche ma stabilmente domiciliato in Inghilterra, Zygmunt Bauman, ha rilasciato a Fulvio Scaglione su “Avvenire”, a margine di un convegno promosso all’East Forum, a Roma, su “La nuova Europa: migrazione, integrazione, sicurezza”. Questo pensatore acuto, che ha coniato un’immagine ormai classica per cogliere la cifra del nostro tempo, parlando di “società liquida” (come a dire che in questa nostra stagione tutto si muove, tutto rischia di essere impalpabile, tutto può anche sfuggire o tutto può tracimare od essere travolto, senza troppi argini e tanti punti di riferimento), ebbene proprio Bauman, se la prende con un continente, il nostro, in cui “gli europei hanno paura”. Ed infatti – continua Bauman –, il pensiero del futuro, oggi, desta in noi più spesso l’idea di una catastrofe imminente che non quella di una vita più confortevole. E lo straniero rappresenta tutto ciò di instabile ed imprevedibile c’è nella nostra vita. Per questo guardiamo ai migranti come ad un segno visibile e tangibile della fragilità del nostro benessere e delle sue prospettive”. E quindi mette in guardia da una illusione “che tiene a galla un numero sempre crescente di noi europei”, ed è l’illusione di rifarsi ad un “passato immaginato come tutto ‘nostro’, senza sfumature, non ancora intaccato dall’importuna vicinanza degli ‘altri’…”. Già, un’illusione con cui molti, troppi vorrebbero disegnare appunto il presente ed il futuro. Bauman poi smonta un altro luogo comune, secondo cui non avremmo le risorse per accogliere chi arriva. “Le ricerche più serie – spiega – mostrano che gli immigrati contribuiscono alla ricchezza del Paese d’arrivo più di quanto prendano in termini di servizi sociali”. In fondo anche il recentissimo rapporto Caritas-Migrantes in Italia evidenzia che non c’è alcuna “invasione” in corso e che degli immigrati il nostro Paese in certa misura ha bisogno. Con un’osservazione acuta poi Bauman fa notare che ci sono studi che “mostrano che la diffidenza nei confronti degli immigrati e migranti è maggiore là dove ce n’è un numero minore”, chiamando in causa la lentezza o la ritrosia a misurarsi con le differenze. Alla domanda dell’intervistatore (“E per aiutare la gente, invece, ad aprite gli occhi?”), Bauman risponde: C’è una personalità assai determinata nel sollevare certe questioni, ed è papa Francesco. Che lo fa peraltro senza pretendere di avere la bacchetta magica, ma, al contrario, invitando a fare sforzi giusti ma che potrebbero anche fallire”. E cita un passaggio del discorso di Jorge Bergoglio alla consegna del Premio Carlo Magno: “Se c’è una parola che dobbiamo ripetere fino a stancarci è questa: dialogo. Siamo invitati a promuovere una cultura del dialogo, cercando con ogni mezzo di aprire istanze affinché questo sia possibile e ci permetta di ricostruire il tessuto sociale”. Già, papa Francesco, che non è nato in Europa, che è figlio di migranti, che dal passato trae sguardi profetici sul futuro… (di cui non aver paura).

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