di VALENTINA COLONNA
Paola Loreto, nata a Bergamo, insegna Letteratura americana all’Universita degli Studi di Milano. Ha pubblicato L’acero rosso (2002); Addio al decoro (2006); La memoria del
corpo (2007); In quota (2012); Case |spogliamenti (2016); la plaquette Spiazzi dell’acqua (2008); le sillogi Transiti (2009) e Conoscenza della neve (2012), oltre a una silloge di poesie sulla montagna (2003) e numerosi testi in rivista e in volumi collettanei. È stata poète en residence al Centre de Poesie et Traduction della Fondation Royaumont (Parigi). Ha curato il “LucaniaPoesiafestival” (2005 e 2008) e ha fatto parte delle giurie del “Premio San Pellegrino, “Tirinnanzi, e “Subway-poesia. Traduce i poeti americani e collabora a «Poesia». Traduce i poeti americani. Come studiosa e anche autrice di tre libri sulla poesia di Emily Dickinson, di Robert Frost e di Derek Walcott.
Nota per la sua scrittura poetica spesso dedicata alla montagna, ha fatto del silenzio il punto di connessione più forte tra le sue parole nel suo ultimo libro, che risuona, come in un’eco, nel destino di rimanere.
Il limite che entra nella vita
come una lama non fa male.
Separa chi sono da chi sarei
potuta essere. Sventra il sogno
di divenire. Come un occhio
che vede solo di fronte,
guarda l’inevitabile.
***
Dimmi di questo posto
dentro di me
in cui c’è posto
solo per me
e il mondo.
Dimmi perché
non può restarmi
nessuno accanto.
Perchè lui
non può
che mi ama tanto.
Dimmi se sono
di chi o di nessuno.
Se la terra ha un colore
oggi che ricorderò o
non serve amare
lo sguardo che si posa
sulle cose. Dimmi.
***
Non c’è poso migliore del fondo,
il luogo del riposo, della pausa,
dello spogliamento.
L’anticipo di un vero
troppo reale
per mancarlo, tradirlo.
Non c’è spazio più caro
più raro (più mio)
di questa fine
inizio.
***
Nella prossima vita
avremo una casa: io e te.
Un orto, un giardino.
(Il fico nero, l’acero rosso.)
Mani nella terra, sul nostro
corpo. Dentro sarà il fuoco
di legna, il legno su cui
camminiamo. Bianco
ma non di smalto.
Nella vita che viene
avremo un bambino
ispido e nero.
Selvatico, ardente.
Non avremo paura.
Lasceremo la fine
agli altri. Inizieremo.
Tratte da Case |spogliamenti (Aragno, 2016)
Cos’è per te la musica della poesia?
È la forma che la tiene insieme. È quello che appare, quello che percepiamo della poesia. La disposizione visiva in realtà è una notazione per la voce, che deve interpretarla. Può parlarci concettualmente, come la disposizione dei versi a forma di altare o di ali di angelo dei poeti metafisici, ma per la maggior parte del tempo, e dei casi, è la forma sensibile della voce che la legge (o recita) – o la corrispettiva immagine uditiva di questa voce che sentiamo nella mente – che costituisce la forma effettiva di una poesia.
La lettura (ad alta voce) del testo poetico: qual è secondo te il rapporto della voce col testo e come consideri il tuo “modo” di leggere?
Per me è fondamentale, il che non vuol dire che la poesia solamente scritta (e letta silenziosamente) non abbia una sua vita del tutto autonoma: ce l’ha sempre. Ma, in primo luogo, qualsiasi lettura silenziosa è la rappresentazione di una lettura orale, ad alta voce. In secondo luogo – ed è questa la mia risposta – la lettura ad alta voce di un autore ci dà l’esatta nozione di come quel verso, quella poesia, siano stati pensati, immaginati, e dunque siano nati. Potrei dire che ci dà il senso compiuto – almeno in termini sensibili – di quella poesia. Poi, ovviamente, qualsiasi testo è aperto (e vive) di ognuna delle sue infinite interpretazioni, anche vocali.
Come definiresti o descriveresti la poesia e il suo rapporto con le altre arti?
Come le altre arti, la poesia per me è l’espressione di una percezione intensa, vivida, o di un’intuizione profonda: di quello che sentiamo, con il corpo e con la mente. È un essere umano che sta nel mondo con gli organi di senso ben aperti e in stato vigile, ricettivo: che assorbe e accoglie il senso di quello che vive e vuole restituirlo al mondo.
Il rapporto con le altre arti è felice e si concretizza quando due sensibilità si incontrano e si “ispirano”, dando luogo a una o a più forme estetiche (mi viene in mente il progetto Da>Verso portato avanti a Milano dall’Accademia di Brera in collaborazione con i poeti), o quando per lo stesso artista si forma una sorta di sinestesia, per cui il moto dell’espressione si palesa in più gesti, o in un solo gesto complesso. Credo che un’arte sia sempre, però, preponderante, per ogni artista, se non quella “vera”. Anche perché una sola vuole una vita intera per compiersi. Lavorare in più arti mi immagino che possa allenare la concentrazione e i mezzi della propria espressione, oltre che affinare la consapevolezza dei modi della propria espressività.
La tua poesia di “case | spogliamenti” è sottile, asciutta, essenziale. È un lavoro che nasce in questo modo o che è il frutto di uno “scavo”, di un “taglio”, di uno “spogliamento” vero e proprio?
Case |spogliamenti nasce così, con un linguaggio che si impone alla scrittura, già denudato, “umiliato”, e che porta – io credo – proprio nella sua natura, l’essenza del suo messaggio, il suo senso. Case |spogliamenti vuole essere il percepito prima di essere compiutamente articolato, l’intuizione profonda e terribile che non trova parole nella ragione, ma solo nei sensi. Un sentire, un avvertire.
Ho avuto l’onore di poter studiare in ambito fonetico una tua lettura di Giorgio Caproni e rimasi colpita dal tuo uso del silenzio, caratteristico e unico tra i parlanti presi in analisi. Leggendo il tuo ultimo libro la parola si colloca in versi sottili, brevi. Cos’è per te il silenzio e quanto è importante nella tua vita e nella tua scrittura?
È il bene più prezioso che esista, il più necessario e il più raro, ormai. Come l’aria pulita. Come la natura inviolata. Senza silenzio non ascoltiamo, non pensiamo, non ci rendiamo conto, non intuiamo, non siamo in contatto con il nostro essere, con il senso più profondo di noi e del mondo. È dal silenzio che viene l’attenzione. Senza attenzione non c’è poesia, la scrittura del mondo, e del senso – piccolo o grande – che ha per noi. La nostra pace.
In maniera più radicale – e quasi ovvia – direi che senza silenzio non c’è suono: non c’è parola. Mentre leggevo Caproni, ero anche chi ascolta, e dalla parte di chi ascolta/legge la poesia, la mancanza di silenzio produce la sordità: l’incapacità o impossibilità di udire.