Affascinante e pericolosa tecnologia: The circle

Nelle sale il film tratto dal romanzo di Dave Eggers: una lente di ingrandimento sulla rivoluzione tecnologica ora in atto, ecco un'analisi del libro e della pellicola omonima

TRAMA

Mae è una giovane e ambiziosa informatica costretta a lavorare in un call center; tramite l’amica Annie riesce a trovare lavoro presso “The circle": un’azienda ai vertici mondiali nella tecnologia e nei social media, caratterizzata da un attrezzatissimo e avveniristico campus dalla forma circolare, i cui dipendenti guidati da un fondatore carismatico lavorano con metodi innovativi con l’obbiettivo di rivoluzionare il mondo. Mae in breve tempo capirà che per fare strada in The circle sarà costretta a una socializzazione e condivisione forzata, che la priveranno di privacy e tempo per la famiglia e il padre malato.

https://www.youtube.com/watch?v=E5iZvq78C5o

Quella di The circle è una comunità di eletti, guidati da personalità viste come dei guru, chiaro rimando alla figura di Steve Jobs e giovani ambiziosi aspiranti Zuckerberg, una piccola società isolata dal mondo esterno che vive come in una bolla, lasciando i problemi reali fuori da essa, desiderosa e convinta di cambiare il mondo, invidiata da chi non ne fa parte e repulsa dai detrattori; nata dalla penna di Dave Eggers dal cui romanzo è tratto il film non è altro che l’estensione in  forma fisica di ciò che in realtà sta già avvenendo nel mondo dei social, forse estremizzandola ma assolutamente riconducibile. Una tecnologia che si muove a velocità spaventosa che cresce esponenzialmente, a cui sembrano non esserci limiti, tanto che gli abitanti e ammiratori del “cerchio” sono convinti ognuno di poter cambiare il mondo da soli da dietro uno schermo, anche a discapito delle più comuni implicazioni etiche, in una preoccupante deriva di onnipotenza che non si limita alla derisione ed emarginazione di chi ne è contrario ma arriva fino all’umiliazione e alla sopraffazione totale. Uno sviluppo tecnologico votato a una miglioria della vita dell’intero genere umano che incoccia contro i diritti più basilari dello stesso, il film ci pone di fronte a questo bivio ideologico, presentandoci un quadro della situazione ed offrendoci un’interpretazione ambigua, che  lascia la possibilità ad ognuno di esprimere una propria opinione, mentre la sua pare decisamente controversa; infatti la pellicola vorrebbe metterci in guardia rispetto al pericolo di queste utenze, ma illustrandole in maniera tanto affascinante da rimanerne abbagliata essa stessa, rischiando di renderle ancora più accattivanti in un  gioco di associazioni che le paragona alla dipendenza da sostanze stupefacenti: intrigante e magnetica, più forte della consapevolezza della sua pericolosità, onnipresente da cui è difficilissimo uscire, sempre esposti ad una ricaduta e col desiderio di spingersi sempre oltre.

Più severa la critica verso la socializzazione virtuale, dove gli scenari appaiono veramente inquietanti; il concetto di libertà completamente distorto, essa è  offerta in maniera illimitata di facciata, ma in realtà costretta nei paletti della condivisione forzata che divengono sempre più stretti portando alla negazione della stessa, rivoltata al punto che la propria intimità debba divenire di tutti prendendosi sulle spalle anche quella degli altri, un obbligo di partecipazione fisica ed emotiva, che vuole avvicinare chi è più lontano, ma causando inevitabilmente l’allontanamento di chi ci è più vicino. Probabilmente la visione del film non muterà le opinioni personali degli spettatori: gli scettici avranno un argomento in più ad avvalorare la propria posizione, chi ne usufruisce e ci crede vedrà le implicazioni anche più gravi come semplici ostacoli facenti parte di un percorso formativo che porterà alla perfezione totale; chi sta in mezzo sarà inquietato ma curioso, con la sensazione di essere una pedina in un meccanismo gigantesco di cui ormai è quasi impossibile non farne parte.

Eggers e la cura Ludovico 2.0

Se vi imbarcate nell'impresa di leggere “Il Cerchio” di Dave Eggers e riuscite ad arrivare all'ultima pagina in seguito, probabilmente, non chiuderete il profilo Facebook, non cancellerete l'account Twitter, e nemmeno il vostro canale Youtube, da cui concionate di giardinaggio, make up, bricolage o Dio solo sa cosa. Non smetterete di postare immagini sovraesposte e iper-filtrate su Instagram, Flickr e Retrica. Non rinuncerete al pc, non butterete a mare lo smartphone (non consapevolmente almeno, maledetti costumi da bagno con le tasche: hanno fatto più danni di Yoko Ono), non userete il tablet per tritare il prezzemolo. Non sarete avvicinati da un certo senso di nausea ogni qual volta vi appresterete a buttare con compiacimento un'altra ora della vostra esistenza a scorrere notizie e link per lo più inutili. Eppure sicuramente qualcosa, nel modo in cui vi approccerete al lato digitale della vostra vita, sarà cambiato. Farete tutto questo con la stessa incoscienza, ma con una consapevolezza diversa, tale da instillarvi appena un filo di sottile inquietudine, una sensazione di nausea, quando supererete un certo livello di guardia di esposizione al web. Il libro di Eggers è una lettura molto difficile per chi vive la nostra epoca, eppure in un certo senso necessaria. Prefigura con una chiarezza spietata il rischio sotteso a un certo tipo di ideologia, se estremizzata. Diciamoci la verità: Facebook e tutta la cricca di siti, social network, piazze virtuali, ci sono sempre sembrati una corbelleria del tutto inoffensiva. Una piccola vetrinetta virtuale per esporre gioielli di famiglia, uno spazio per vellicare la nostra vanità, un pratico strumento per comunicare, un formidabile apparato di cazzeggio. Eppure possono creare grossi danni, avere ripercussioni sulla nostra vita privata: lo stiamo scoprendo adesso con la questione del cyberbullismo, delle fake-news e delle conseguenze legali di status sconsiderati e foto sottratte. C'è però un rischio che nessuno di noi ha ancora preso in considerazione proprio perché, probabilmente, non abbiamo mai preso abbastanza sul serio i social network da fare sì che si materializzasse all'orizzonte. C'è una logica, sottesa alla nascita e  al funzionamento di una macchina come Facebook, che non è ancora del tutto a fuoco, non è ancora strutturata, non si è fatta principio, ideologia: il profilo è una sorta di vetrina della nostra vita. La nostra immagine pubblica. Come un'immagine di noi stessi, annotata con le nostre idee, le nostre azioni, la nostra attività. Ogni informazione su di noi, reperibile, catalogata, pubblica. Finora per divulgare le nostre idee, le nostre passioni, i nostri hobby, abbiamo sempre dovuto raccontarci, comunicare. Su Facebook è tutto lì, messo nero su bianco, facilmente consultabile. Di per sé, nulla di male. Che succede però quando questa trasparenza assoluta su noi stessi diventa un valore? Quando ci si illude che la via per migliorare il mondo e sconfiggere il male passi attraverso internet e la condivisione totale delle esperienze e delle opinioni? Chi getterebbe una cartaccia, parcheggerebbe in seconda fila, ad esempio, se la sua vita fosse una continua diretta facebook, sotto gli occhi di tutti? Del resto chi non è disposto a farlo cosa nasconde? Per non parlare del miglioramento che deriverebbe dal continuo scambio di opinioni, il circolare delle idee e delle petizioni. Non sarebbe un miglioramento? Non saremmo più liberi? La risposta di Eggers è no, come si può immaginare, e la argomenta in un romanzo che sembra quasi un esperimento scientifico-sociale, alla maniera di Zola. Eggers, giornalista e popolarissimo autore americano, è capace di una prosa frizzante, articolata, ricca di registri, sperimentale, divertente ed ironica come quella di cui aveva fatto sfoggio nel suo sfolgorante romanzo d'esordio “L'opera struggente di un formidabile genio”. Nel Cerchio vi rinuncia, in favore di una prosa asettica, immediata, asciutta, tagliente, fredda, descrittiva e di chiarissima leggibilità.

Il libro è narrato in prima persona, dal punto di vista della protagonista, Mae, e segue l'evoluzione psicologica in modo ravvicinato e, appunto, quasi scientifico. Anche questo rende, talvolta, il romanzo molto pesante: per forza di cose gran parte di esso non è che il soffocante, ricorsivo racconto di giornate tutte uguali davanti al pc, a mettere likes, rispondere a messaggi, diffondere petizioni, aggiornare status, dirette... Si concentra sulla narrazione della vita digitale della protagonista e proprio per questo, come del resto è l'intenzione dell'autore, ben presto inizia a diventare claustrofobico per il lettore, che avverte quasi sulla sua stessa pelle la continua ossessione dello strumento digitale che diventa invasivo fino a una sorta di pornografia del quotidiano. Ben presto interviene un irrimediabile senso di nausea, che costringe il lettore a dilazionare le sessioni di lettura in più appuntamenti brevi, se non ad abbandonare il testo. Non c'è molta pietà per lui: la trama è un climax lineare senza alcun tipo di cadenza finale, di addolcimento, di curva che riporti la situazione alla stasi. Ogni cosa viene portata alle estreme conseguenze. Il finale non lo svelo, ma all'ultima pagina non troverete nessuno zuccherino che possa addolcire il sapore agro del testo. Il Cerchio è tutto meno che letteratura di pura evasione: appartiene a quel filone di testi che va a fondo del tema scelto portando l’indagine fino alle estreme conseguenze, senza risparmiare nulla al lettore. È un testo che molti potranno trovare sgradevole, ma di cui credo si possa riconoscere con chiarezza il valore.

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