“Essere credibili nella Chiesa di oggi”: l’invito del vescovo Egidio nella Messa di fine anno

La celebrazione al Ferrone con canto del Te Deum. “La speranza da credenti per battere la banalità del vivere e l’egoismo che dilaga”

Il vescovo di Mondovì, mons. Egidio Miragoli
Il vescovo di Mondovì, mons. Egidio Miragoli

Celebrazione di fine anno, martedì sera, nella parrocchia del Ferrone a Mondovì, presieduta dal vescovo mons. Egidio Miragoli, in cui era inserito il canto del “Te Deum” per il ringraziamento da rivolgere al Signore dopo i dodici mesi trascorsi del 2019. Pubblichiamo l’omelia dello stesso vescovo in questa occasione.

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Che l’anno finisca al 31 dicembre, in fondo, è una convenzione. Ma nelle umane cose di convenzioni c’è bisogno, per dare una scansione alla vita e per obbligare chi vive a misurarsi con se stesso e con il tempo che passa, nonché a formulare auspici e propositi. Come ogni fine (la fine di un giorno, di un lavoro, di una vacanza…) anche quella dell’anno ci induce a qualche pensiero retrospettivo; come ogni inizio, anche il nuovo anno pretende da noi nuovi propositi e nuova forza. Anche la liturgia ne tiene conto. E lo fa in maniera particolare, con una curiosa insistenza concettuale che non è certo dovuta al caso.

Sotto lo sguardo della Provvidenza

Cito brevemente da due preghiere, una appartenente alla messa di fine anno e una tratta da quella di inizio anno. Il primo testo recita: “Sostieni con la tua provvidenza, Signore, questo popolo nel presente e nel futuro, perché con le semplici gioie che disponi sul suo cammino, aspiri con serena fiducia alla gioia senza fine”.
Il secondo, invece, dice: “O Dio che nella tua provvidenza dài inizio e compimento a tutto il bene che è nel mondo fa’ che in questa celebrazione della divina Maternità di Maria gustiamo le primizie del tuo amore misericordioso per goderne felicemente i frutti".
Denominatore comune, come avrete notato, è la provvidenza: la liturgia, quindi, nel momento delicato del passaggio da un anno all’altro, nel momento dei bilanci, quando più acuto si fa il sentimento del tempo, ci richiama all’idea che tutto, passato e futuro, anno che termina e anno che inizia, sta dentro il disegno della provvidenza, è garantito da uno sguardo provvidenziale, quello di Dio. Diciamo più semplicemente: in ogni istante siamo sotto lo sguardo premuroso e misericordioso di Dio. Crederlo o non crederlo non è secondario. Cambia la visione sulle cose del mondo, su tutto ciò che accade nelle nostre vite, di felice e di doloroso, di bello e di brutto. Eventi fuori da qualsiasi disegno e senso? ...o compresi dentro un disegno che un senso lo possiede, perché Dio è all’opera? Quale realtà viviamo? Quella di una casualità assoluta e abbandonata a sé stessa, o quella di un volere divino che si dispiega nei giorni, negli anni e nei secoli?
La risposta dei cristiani può essere una sola: basarsi sulla assoluta certezza che tanto la grande Storia quanto le piccole vicende personali sono inscritte nel volere di un Dio che è loro Signore e non vuole abbandonarli a sé stessi. Il che, è provato dal mistero dell’Incarnazione, rispettosissimo ma decisissimo segno della volontà di Dio di non lasciare sola la sua creatura più amata, l'uomo, e di proporle un’alleanza nuova, di salvezza. Non a caso, al centro della lode del «Te Deum» che tra poco canteremo, stanno queste parole: O Cristo, re della gloria, / eterno Figlio del Padre,/ tu nascesti dalla Vergine Madre / per la salvezza dell’uomo.

Contribuiamo a rinnovare la società

Ma a Capodanno è inevitabile gettare uno sguardo anche sull’anno passato. Ogni singolo provvederà per sé stesso. Comunitariamente, vengono in mente i fatti e i problemi salienti della nostra società, del mondo, della Chiesa. Non certamente per una tendenza pessimistica, ma nella prospettiva del rinnovamento e nel desiderio di qualcosa di nuovo, possiamo e dobbiamo individuare alcuni punti critici. Sono quelli per i quali il «Te Deum» ci fa dire stasera: “Pietà di noi, Signore, pietà di noi./ Soccorri i tuoi figli, Signore!”. Come società, la nostra società, dovremmo forse notare la banalità del vivere moderno, che sovente produce uomini ordinari, che non sanno gestire né la vita né i problemi propri e del mondo. Tecnologia e moltiplicazione delle distrazioni senza alcun contenuto culturale e morale – mentre sempre meno persone leggono libri – aiutano certamente il degrado della collettività.
Commentando la foto dell’Italia scattata dall’ISTAT – i dati sono stati diffusi ieri – un sociologo di fama sintetizza: “Siamo egolatri” (idolatria di sé stessi). È questa la radice del non fare famiglia (siamo un esercito di single; una famiglia su tre è unipersonale), del non fare figli (nuovo minimo storico delle nascite dall’Unità d’Italia), delle relazioni che si frantumano (siamo un Paese che rompe ogni minuto miliardi di piccole relazioni). Soffermiamoci solo un istante sulla questione denatalità, questione cruciale e drammatica. Cito ancora: “Fare figli in qualche modo vuol dire scordarsi di sé stessi, ma noi non abbiamo più questa capacità, questa propensione: la ragione non sta in una dimensione economica, si tratta innanzitutto di un fatto emotivo. Siamo dediti a noi stessi, siamo ricolmi di narcisismo egoistico e in definitiva siamo incapaci di un rapporto con l’altro”.
“Il punto è che noi questo scenario lo abbiamo sempre affrontato in termini strutturali, il bonus bebè, i sostegni alle famiglie: ma in realtà è che è finita l’anima” (De Rita). Siamo ricolmi di narcisismo egoistico! È finita l’anima…! Mi chiedo: anche per chi si dice cristiano? Quanto ai problemi del mondo, che opprimono l'umanità, sono numerosi, ci spaventano e ci fanno sentire impotenti: cambiamenti climatici, guerre, migrazioni, violazione dei diritti umani... La soluzione? Ci vorrà certamente tempo e impegno, ma, come scriveva un autore: «Si tratta di sperare contro ogni speranza: ma si può sperare solo "insieme", mai da soli, mai senza l'altro» (E. Bianchi).

Rendere credibile la nostra vita di credenti

Come Chiesa, infine, non possiamo non registrare i peccati dei credenti, di tutti –ecclesiastici e laici – peccati e leggerezze di singoli, quando non veri e propri crimini, che diventano facile pretesto per screditare tutta la Chiesa, e il Vangelo, sempre più sotto attacco da parte degli intellettuali laici e dei loro media. Contro questo, siamo tutti chiamati a purificare la nostra vita e a rendere credibile la nostra fede, senza peraltro lasciarci intimorire o andare in crisi, perché la Chiesa è di Cristo, noi crediamo a Cristo e Cristo non teme la prima penna intinta nel veleno o il primo giornalista maldicente. Non per caso, è stato scritto che “non praevalebunt”: e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa, la Chiesa di Cristo.
Proprio da questo motto, potremmo trarre un proposito per l'anno a venire: impegniamoci anzitutto comportandoci in maniera irreprensibile dentro la Chiesa stessa, dando “spettacolo di unità”, come ebbe a chiedere un giorno Papa Luciani ai cardinali; non indulgendo a chiacchiere o maldicenze; con limpidezza di sguardo e di cuore operando per il bene di tutti e della comunità cristiana, offrendo la nostra disponibilità e la nostra collaborazione. Poi, conserviamo la serenità, non dando credito a calunnie, confusioni, facili banalizzazioni. Possa il 2020 essere l’anno di una rinnovata e più consapevole e salda appartenenza alla Chiesa di Gesù Cristo per ogni uomo di buona volontà. Per tutto questo, per l’anno passato e per l’anno che ci sta d’innanzi, cantiamo convinti, nel «Te Deum», stasera: “Soccorri i tuoi figli, Signore, che hai redento con il tuo sangue prezioso. Salva il tuo popolo, Signore, guida e proteggi i tuoi figli. Tu sei la nostra speranza”.
+ Egidio, vescovo

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