Claudio Marchisio si scaglia contro il razzismo, citando il caso di Mondovì e della porta di Lidia Rolfi. Così l'ex calciatore e stella bianconera, scrive sul Corriere della Sera: «Sviluppiamo anticorpi contro paure illogiche e razzismo». Un pezzo pubblicato sulle pagine torinesi del "Corsera", che il calciatore ha anche rilanciato sulla sua pagina Instagram e sulla sua pagina Facebook pubblicando la foto della porta imbrattata a Mondovì.
Claudio Marchisio parte dagli assurdi casi di razzismo che stanno emergendo ora contro le comunità cinesi, perverso effetto della "fobia da coronavirus", per parlare del tema generale: «La nuova malattia sviluppatasi in Cina è lo spauracchio di queste settimane e possiamo già osservare i primi segni di psicosi collettiva nelle nostre città. Dai cartelli che vietano l’ingresso agli asiatici nei negozi fino ai ristoranti cinesi che vedono crollare il proprio giro di affari» scrive, e poi aggiunge: «La fine di gennaio è infatti un momento importante per la memoria collettiva nazionale ed europea: il 27 gennaio in tutto il mondo si celebra, ormai dal 2005, «il giorno della memoria», dedicato al ricordo delle vittime dell’Olocausto, il più grande sterminio di massa del ventesimo secolo in cui persero la vita oltre 6 milioni di persone tra ebrei, rom, sinti, slavi e dissidenti politici.Quest’anno le celebrazioni di questa ricorrenza nel nostro Paese sono state seguite da una notizia preoccupante: un’indagine dell’istituto di statistica Eurispes ha rivelato che più del 15 per cento degli italiani, uno su sei, è convinto che la Shoah non sia mai avvenuta. Tutto questo mentre, a Mondovì, sulla porta di casa del figlio di una deportata, compariva la scritta "Qui abitano ebrei", come si usava durante i rastrellamenti nazisti».
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«È allora quanto mai necessario lavorare duramente per sviluppare i giusti anticorpi contro l’ignoranza e impedire che si ricrei un clima politico favorevole all’odio razziale. Coronavirus a parte, viviamo in un momento storico in cui l’incertezza economica e sociale portano le persone alla chiusura e alla paura nei confronti di ciò che è differente, lontano, sconosciuto. Ecco allora che dobbiamo dire con forza che l’ansia sociale non si combatte con la guerra tra poveri, al contrario è necessario ricucire il tessuto sociale e la solidarietà collettiva», conclude l'ex calciatore.
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