Il mondo degli studi sociali li chiama “NEET”: acronimo che sta per “Not in Employment, Education or Training”. Letteralmente, coloro che non stanno né lavorando, né studiando né facendo formazione. Sono le figlie e i figli della disillusione. Del senso di sfiducia che la crisi del nuovo millennio ci ha lasciato da gestire. Una situazione che loro, in gran parte nati dopo gli anni ’90, si sono visti piovere addosso, come una valanga. Qualche settimana fa “L’Unione Monregalese” dedicava a questo fenomeno un ampio servizio, ricavato sviscerando il report dell’Atlante dell’infanzia di Save the Children.
In Italia, il numero dei NEET è tra i più alti d’Europa: il 25% nella fascia 15-34 anni. Dati molto simili in Piemonte, aggravatisi nel 2021 a causa della pandemia. Un tema di radicale importanza nelle Politiche giovanili. Perché c’è una domanda colossale, che prima o poi è ora di porsi: vogliamo lasciare che vadano alla deriva? Quale futuro può avere un Paese che non sa dare alle proprie ragazze e ragazzi il “minimo indispensabile”, la fiducia nel domani? A distanza di qualche settimana, torniamo sul tema: con un’intervista al ministro per le Politiche giovanili, Fabiana Dadone: che sta per lanciare un piano di interventi pensato apposta per questa emergenza sociale.
Ministra, perché un piano apposta per i “NEET”? Lei ritiene che le misure attuate fino a oggi non siano più sufficienti?
Sono i numeri a dirci che le misure non sono sufficienti, non lasciano margine di fraintendimento purtroppo. Troppi giovani in Italia non studiano, non lavorano, non cercano un percorso formativo e/o professionale. Il fatto grave è che
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