Lavoratori Conicos liberati in Libia: nessun blitz armato, i rapitori fuggiti

Un lungo lavoro di intelligence culminato in un'operazione con la collaborazione dei tuareg.

Un lungo lavoro di intelligence culminato in un'operazione con la collaborazione dei tuareg nella notte del 4 novembre. Così sarebbero stati liberati Bruno Cacace, Danilo Calonego e il canadese Frank Poccia, i tre tecnici della Conicos di Mondovì,rapiti in Libia nei pressi della zona di Gath dove lavoravano. Si trovavano a circa 300 km dal luogo dove erano stati presi.

Oggi si scopre che i due ostaggi sono stati liberati senza un vero blitz armato. Ovviamente non si parla di riscatto, ma di un lungo lavoro di intelligence culminato in un’operazione in collaborazione coi tuareg. L’area è stata circondata da forze alleate col governo libico, che avrebbero lasciato una via di fuga ai rapitori e infine liberato i tre uomini. Hanno fatto ritorno a casa, dalle loro famiglie, la mattina del 5 novembre. La notizia più bella, per i loro famigliari, dopo un mese e mezzo di silenzio. Ora resta aperta l’indagine, per chiudere il quadro sull’intera vicenda.

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«Non erano jihadisti, ci hanno presi per errore. Non ci hanno trattati male»
Che cosa è successo? Dalle parole di Cacace e Calonego emergono dettagli importanti: «Siamo sequestrati per errore, da criminali comuni – hanno detto ai magistrati di Roma, che ora hanno in mano l’inchiesta per il sequestro –. I nostri sequestratori non erano jihadisti: non parevano musulmani credenti, bevevano e non pregavano. Erano una banda di criminali comuni, guidata da uno spacciatore di droga algerino». Il sequestro sarebbe stato un errore, un piano cambiato all’ultimo momento dopo che si erano accorti di aver sbagliato persone: «Non cercavano noi, ma uno dei manager dell’azienda che doveva viaggiare con un carico di soldi. Miravano al denaro».

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«Pagate il riscatto o li venderemo all’Isis»
Qualche settimana dopo il rapimento, fonti libiche hanno detto che i rapitori hanno avanzato una richiesta di riscatto. Chiedevano 4 milioni di euro, sotto minaccia di vendere gli ostaggi ai terroristi di Daesh (Isis). Di questa richiesta non esiste conferma da parte delle autorità italiane: ma il rischio che i jihadisti arrivassero prima dei nostri servizi segreti e che i tre venissero usati come merce di scambio era reale, e questo ha reso il lavoro di ricerca ancora più delicato. Soprattutto perché in quella zona, la provincia del Fezzan, l'autorità del governo è quasi del tutto assente.

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