Trenta furti in casa e anche una rapina. Un bottino totale da 55 mila euro, con "colpi" andati a segno soprattutto ai danni di anziani o soggetti deboli. Per questo sono finiti in manette sei persone (tre in carcere e tre obblighi di dimora), tutti di etnia sinti. È il risultato dell'operazione appena conclusa dal Nucleo Investigativo del Comando Provinciale dei Carabinieri di Cuneo e dal Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia con il coordinamento della Procura della Repubblica di Cuneo (dott. Attilio Offman). Eseguite anche numerose perquisizioni con sequestro di refurtiva ed il controllo del campo nomadi di Cuneo.
Gli arrestati sono: Isabella Cerutti (classe 1975, in carcere), il marito Manuel Lafleur (del 1969, anche lui in carcere), Fabio Debar (1986, genero dei due, in carcere), Saimon Cerutti (classe 1987, fratello della donna, obbligo di dimora con divieto di assentarsi dall'abitazione nelle ore notturne), Bruno Bagnasco (1959, obbligo di dimora con divieto di assentarsi dall'abitrazione nelle ore notturne) e Mattia Arneodo (1998, obbligo di dimora con divieto di assentarsi dall'abitazione nelle ore notturne). Nel corso di circa sei mesi (da fine ottobre 2017 a inizio aprile 2018), si sarebbero resi responsabili di 30 furti in abitazione ed una rapina (tutti avvenuti a Cuneo, Busca, Cervasca, Alba, Saluzzo, Verzuolo e Bra) per un valore stimato della refurtiva (prevalentemente denaro contante e gioielli) di circa 55.000 euro.
COME AVVENIVANO I COLPI
Il modus operandi che hanno adottato è per certi versi “originale” ma, nella sostanza, costituisce semplicemente una “variazione sul tema” rispetto all’odiosa pratica delinquenziale di carpire la fiducia delle vittime per poi eseguire i colpi. Prima, la banda individuava la potenziale vittima, scegliendo appositamente soggetti “deboli”, come anziani che vivono soli: seguivano la persona, osservavano come chiudeva la porta di casa e dove riponeva le chiavi. Poi la “agganciavano”, distraendola, e le rubavano le chiavi. Infine, uno dei componenti del gruppo avvicinava la vittima dicendole che aveva smarrito le chiavi in un negozio, o magari alle Poste, dove si era recata poco prima (la banda sapeva gli spostamenti della vittima, perché l’aveva seguita). Ovviamente, la vittima controllava dove aveva risposto le chiavi, notando effettivamente la mancanza… e a quel punto tornava indietro per recuperarle. Mentre questo avveniva, la banda entrava nell’appartamento e compiva il furto, mentre altri facevano da “palo”.
In un’occasione, uno degli autori è stato sorpreso all’interno dell’abitazione dal figlio di una donna anziana alla quale avevano sottratto la chiave, rientrato casualmente per una visita alla madre. Nella circostanza, il malvivente, per riuscire a sfuggire alla reazione dell’uomo, spruzzava sul suo volto spray urticante. In un'altra circostanza, sopresi dentro la casa da persone estranee dopo che avevano già aperto la cassaforte con un flessibile, i ladri avevano finto di essere Carabinieri intervenuti per un sopralluogo di furto, sfruttando tale stratagemma per allontanarsi - con la refurtiva - senza conseguenze.
Attraverso la ricostruzione degli episodi delittuosi è stato possibile verificare, in capo agli indagati, la predisposizione di mezzi necessari al perseguimento dei fini illeciti ma anche ad ostacolare la loro individuazione da parte delle forze dell’ordine (abbigliamento specifico per commettere i reati, telefoni cellulari che comunicano solo reciprocamente e veicoli intestati a terzi). Si tratta, in particolare: di un’autovettura intestata a terzi ed utilizzata dagli indagati per spostarsi sul territorio e commettere gli illeciti; di due utenze cellullari intestate a prestanomi ed utilizzate durante alcuni degli eventi delittuosi solo tra di loro, in maniera tale da funzionare come una rete chiusa, attraverso la quale, anche avendo la possibilità di individuarle sarebbe stato impossibile, solo attraverso l’analisi delle chiamate in entrata ed in uscita e senza ulteriori elementi, risalire ai reali utilizzatori delle stesse. La refurtiva era per lo più costituita da somme di denaro e gioielli. In alcune circostanze, però, sono stati trafugate anche le carte bancomat delle vittime unitamente ai codice segreti di accesso. La stesse sono state utilizzate sia per fraudolenti prelievi diretti che per acquisti presso esercizi commerciali (per lo più negozi di abbigliamento) del torinese.
Nel corso delle perquisizioni (eseguite anche all’interno del campo nomadi, domicilio di tre degli indagati) è stato rinvenuto e sequestrato: gli abiti utilizzati dagli indagati durante i reati commessi; una tonnellata e 122 chilogrammi di rame provento di furto in danno delle ferrovie italiane; computer portatili, navigatori satellitari, telefoni cellulari smartphone, un tablet, provento di reato; una bottiglietta di spray urticante, mazze da baseball con chiodi e viti conficcate, una balestra, una pistola giocattolo -riproduzione di una semiautomatica - priva del tappo rosso; alcuni monili in oro, provento di reato; un apparecchio elettronico portatile per la rilevazione di radiofrequenze e due ricetrasmittenti portatili; due motoseghe, due decespugliatori, una lama livellatrice ed una motosega, provento di furto in abitazione; la somma di 1100 euro in contanti, ritenuta provento di reato.
Tutto il materiale sequestrato che è risultato provento di furto è stato riconosciuto e sono in corso le pratiche per la sua restituzione agli aventi diritto.