«Lasciamoci ancora stupire dal Natale. Gesù è salvezza: non lasciamo che sia solo una statua nel presepe»

Le parole del nuovo vescovo alla messa di Natale

Si tratta del primo Natale che trascorriamo insieme. E già il fatto che siamo qui costituisce la conferma di un motivo di speranza, la conferma che questa comunità cristiana è viva e la speranza che nella fede e nella carità potremmo sempre impegnarci per il Regno di Dio, pregando, annunciando la sua parola e aiutando i fratelli in difficoltà. Entrando in questa assemblea un paragone è facile, pressoché immediato, fra il nostro accorrere qui e la pagina del vangelo che abbiamo appena ascoltato. Fra noi e quanto descritto dal profeta Isaia: “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce”, racconta il profeta. E gli fa eco Luca, con i pastori illuminati dall'angelo che dice loro: “non temete, ecco: vi annuncio una grande gioia”. Luce e gioia. Anche noi siamo venuti a contemplare una luce e ad ascoltare quell'annuncio di gioia. Ma ci chiediamo con quale disposizione, con quale consapevolezza. Mentre si assiste alla scena della natività, il rischio è quello di una commozione sincera ma alla fine superficiale. Quasi un'estasi, per così dire, “televisiva”: c'è il pericolo che una volta svanita l'inquadratura sul presepe, possa svanire anche il trasporto interiore, cancellato dal sopraggiungere da altre immagini meno idilliache e magari pronte a colmarci l'animo di angoscia. Proviamo invece a sostare, la liturgia dice “contemplare”. Fissiamo lo sguardo sulla luce di questo mistero, su questo bambino che la fede giunta fino a noi pretende “l'unigenito Figlio di Dio” e lasciamo che per qualche attimo ci parli.
Per non ridurre il Natale a semplice incanto, dobbiamo guardare Gesù appena nato tenendo presente che lì c'è già “tutto” Gesù. Ovvero che nel bambino, figura suggestiva anche comoda, facilmente oggetto di sentimentalismi, in realtà è già racchiuso l'intero senso della vicenda terrena di Gesù. Di per sé, non si adora un neonato. Qui invece l'adorazione sorge spontanea evidentemente perché ci sentiamo già di fronte a Gesù nella sua pienezza. Gesù inviato dal padre e pronto a donarsi, Gesù servo dell'umanità, Gesù pastore e maestro, Gesù parola capace di interpellarci. Per esmepio: già questa notte, Lui potrebbe interpellarci con la domanda ineludibile che un giorno rivolgerà a suoi discepoli: e voi, chi dite che io sia? Marco colloca il quesito esattamente al centro del suo Vangelo. Noi potremmo collocarlo al centro del nostro Natale, appunto perché non siamo al cospetto di un innocuo bambino a cui rivolgere un frettoloso omaggio. Questo bambino è Gesù, e Gesù ci interroga: per te, per la tua vita, per la tua struttura interiore, io chi sono? Per te, chi nasce oggi? Volendo appoggiarci alle letture offerte dalla liturgia, troveremmo già in San Paolo una risposta chiara. Bastano le poche parole di inizio: “è apparsa la grazia di Dio portatrice di salvezza per tutti gli uomini”. San paolo parla di Cristo come “salvezza”. Ma anche pagine del Vangelo di Luca vicinissime a quelle della Natività parlano di “salvezza”. Poco indietro Zaccaria, su Gesù che sta per nascere ha espressioni stupende, dice che “Dio in lui ha visitato e redento il suo popolo. e ha suscitato per noi una salvezza potente”. E poco dopo la venuta di Gesù nel mondo cita la salvezza anche l'anziano Simeone. Egli prendendo fra le braccia il Bambino esclama: “Signore, i miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da Te davanti a tutti i popoli”. Dunque è “salvezza” la parola che circonda Gesù bambino. Ci crediamo? Avvertiamo il bisogno di essere salvati, dove certezze materiale e l'indifferenza morale che caratterizzano la nostra civiltà ci fanno sentire al di sopra o al di fuori del problema della salvezza? Dov'è la salvezza in questo mondo? Oppure la salvezza sarà solo ultraterrena?
Mi viene da rispondere che Cristo ci salva già qui, già adesso: ma sta a n noi lasciarlo operare e accogliere il suo dono. Facciamolo diventare sul serio Signore dei nostri giorni, orientiamo comportamenti e scelte secondo il Suo modello concreto. In una parola: cerchiamo di amarlo. Amiamo il verbo, aprendoci, accettando anche la croce, chinandoci a lavare i piedi dei nostri fratelli. E sperimenteremo davvero al salvezza. Il bambino che nasce questa notte è un'offerta di salvezza, di redenzione della nostra quotidianità tanto spesso arida. Ma per rendere efficace quell'offerta occorre che rispondiamo con un assenso pieno, totale, fattivo, magari folle agli occhi del mondo. Lasciandolo statua nel presepe, Gesù non può salvare i nostri giorni, la nostra vita. Rimane una statua, punto e basta.
Un secondo pensiero. Se come ho detto in Gesù bambino c'è già tutto Gesù, allora a Natale è importante sapere che contemplando Gesù bambino, qui contempliamo già che un giorno risorgerà vincendo la morte. Allora il Natale, inizio di una vicenda, assume il senso della conclusione di questa vicenda, cioè della gioia pasquale. Quanta morte attorno a noi, la morte assedia la nostra vita. Ci sono le guerre incessantemente proposte dalla cronaca, ci sono i lutti famigliari, ci sono mille manifestazioni parziali di morte che incontriamo lungo le nostre giornate, malattie, dolori, delusioni, tradimenti, inadempienze, egoismi, limiti, peccati. Ognuno di noi ha portato a questa messa certamente, e a questa notte il suo fardello, i suoi pesi. Cioè i suoi frammenti di morte, provocata o subita. Eppure possiamo riconoscere subito in questo bambino indifeso colui che vincerà, che ha già vinto, la morte. Questo è il motivo fondamentale della gioia cristiana. La venuta di Gesù porta sulla terra la soppressione del dominio del male. Da Cristo in poi, sconfiggere il male, la morte, liberarsene, è possibile. E anche questo è un risvolto, anzi questo è l'aspetto centrale della salvezza. Facciamo realmente posto a Gesù, assumiamolo a esempio, convertiamoci a Lui, e le tenebre saranno dissipate. La prima gioia del Natale sia proprio questa: abbiamo visto nascere chi trionferà, chi ha già trionfato sul male e sulla morte, anche sulle nostre morti quotidiane.
L'ultimo pensiero che vorrei affidarvi è una raccomandazione: davanti a questa luce che stanotte abbiamo incontrato, e davanti a tutto ciò che essa significa, sappiate ancora stupirvi come si stupirono i pastori all'annuncio dell'angelo. Dopo tanti Natali si può realmente cadere nel pericolo dell'abitudine. Si sentire tutto questo come “risaputo”, scontato. Sì, è risaputo: nel senso che i fatti li consociamo. Ma è la penetrazione di questo mistero che non abbiamo ancora magari compiuto pienamente. Ebbene, al contrario, dobbiamo sforzarci di considerare ancora una volta seriamente il mistero cristiano che celebriamo. Esso è una realtà, una realtà sempre nuova, difficile ma traducibile concretamente. La nostra capacità di comprensione e di fede devono dunque misurarsi su due grandi risposte offerte dalla pagina biblica, come se le ascoltassimo per la prima volta, come se in precedenza non avessimo mai sentito proclamare che Gesù in fasce è la salvezza, è la vera vita, quella che sola può riempire il cuore di gioia. Lo chiedo per me e per voi, lo chiedo per la chiesa monregalese.

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