Claverie e Mohamed, 20 anni fa la strage. Il destino comune che si mescola nel sangue

Il 1. agosto del ’96 un ordigno esplosivo massacrava il vescovo Pierre Lucienne Claverie e il suo autista, Mohamed Bouchiki, musulmano. 

L’impressione per la barbara uccisione, in chiesa, a St. Etienne du Rouvray, dell’84nne abbè Jacques Hamel, resta fortissima ed angosciante. Ma non dobbiamo perdere la memoria. Altri “martiri”, nel tempo, hanno pagato con la vita una stagione prolungata di violenze assurde e brutali. Il 1. agosto del ’96, esattamente vent’anni fa, un ordigno, fatto esplodere a distanza, massacrava sul pianerottolo dell’abitazione, al ritorno da una serata di impegni pastorali, il 58enne Pierre Lucienne Claverie, domenicano, vescovo di Orano in Algeria, ed il suo autista, Mohamed Bouchiki, musulmano. Erano passate appena nove settimane da un’altra orribile strage, quella che aveva colpito a morte i sette trappisti del Monastero di Nostra Signora dell’Atlante a Tibhirine, nel deserto algerino. Frange impazzite di un integralismo che ha insanguinato per anni l’Algeria, un Paese complesso sotto vari profili. Su “Avvenire” viene ricordata con puntualità la figura di Pierre Claverie. Nell’articolo di Filippo Rizzi si evidenziano le espressioni forti e significative del domenicano Jean-Jacques Perennès biografo di mons. Claverie, descrivendo la scena che si è presentata ai soccorritori sul luogo dello spaventoso attentato: “Pierre e Mohammed giacciono al suolo in un atrio devastato e il loro sangue si mescola”. Già, un seguace di Cristo ed un seguace di Maometto legati da una fraternità, da una amicizia, da una condivisione di vita… accomunati nella morte violenta data da chi colpisce all’impazzata.

A 43 anni, la nomina a vescovo di Orano, un posto singolare, di frontiera. Acconsente per una ragione che sa di disincanto evangelico: “Ho accettato pensando all’attentato subito da Giovanni Paolo II. Una Chiesa, il cui capo può essere ucciso come qualsiasi altro uomo, mi interessa”.

E sempre “Avvenire” risale emblematicamente ad una frase dello stesso mons. Claverie mesi prima, a proposito del suo legame con la terra d’Algeria, con la gente di Algeria, con i musulmani di Algeria: “Anche se volessimo partire, non potremmo più farlo. Il nostro sangue si è mescolato”. Sono protagonisti di tempi nuovi, da far nascere dentro le pieghe di una storia aspra, difficile, lenta, ambigua, pericolosa persino. “La sua morte – disse Giovanni Paolo II pensando a Pierre Claverie – non può rimanere motivo di solo dolore anche se grande. Il suo martirio deve diventare seme di speranza”. Già, un esempio anticipato di un incontro da costruire tra religioni e tra popoli, un incontro di cui oggi si sente ancor di più l’urgente bisogno, che vede ormai molti impegnati ad edificarlo, anche a partire dai musulmani a Messa domenica scorsa per solidarietà con la Chiesa, dopo l’atroce carneficina che ha avuto come vittima il prete di Normandia, p. Jacques Hamel. Già vent’anni fa il terrorismo mieteva vittime tra cristiani e musulmani. E’ un fronte comune, su cui essere avveduti, attenti, solidali… evitando ogni tentazione di farsi travolgere dall’odio o dalla sete di vendetta. E’ un’altra storia da costruire, quella della fraternità alla portata. Lo insegnano mons. Claverie e il suo autista Mohammed, i monaci di Thibirine, p. Jacques Hamel… col loro sangue.

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