Misteri monregalesi: Giuseppe Gasco, teosofo e massone

Gabriele Carazza ha rievocato a Mondovì la figura del teosofo Giuseppe Gasco, intellettuale monregalese giunto ai vertici italiani dell'organizzazione ermetica.

“Non c’è religione più alta della verità”. Questo il motto della società teosofica, fondata nel 1875 a New York dalla celebre medium Helena Blavatski, con l’intento di continuare gli studi dell’antica teosofia, quella della antica scuola filosofica di Alessandria d’Egitto, portata avanti da autori come Plotino, Marsilio Ficino, Giordano Bruno, Swedenborg, Goethe. In qualche modo, in questa lunga continuità iniziatica – che la teosofia intende proseguire – si può collocare anche una figura quasi dimenticata di intellettuale monregalese, di recente riscoperto dalla teosofia cuneese ad opera dell’avvocato Gabriele Carazza. Il dottor Giuseppe Gasco (28/9/1877 -  9/12/1970) nasce due soli anni dopo la fondazione della Teosofia a New York; dopo gli studi diviene Veterinario Provinciale, girando varie province italiane e scrivendo numerosi importanti testi professionali. La pratica veterinaria si associa strettamente alla filosofia di Gasco, vegetariano, animalista (seppellirà il suo cane presso la propria dimora, secondo un uso allora raro) e favorevole alla cremazione (che richiederà per sé). Nel 1909 Gasco si avvicina quindi alla teosofia, che era sorta ufficialmente in Italia nel 1902, ma sulla base di nuclei già esistenti all’indomani della nascita ufficiale: la Blavatsky infatti era venuta spesso in Italia – anche a Torino – ed era in particolare contatto con Giuseppe Garibaldi, partecipando anche alle sue imprese. Il primo segretario della teosofia italiana, Ottone Penzig, divenne poco dopo segretario mondiale dell’organizzazione (1905-1918), a dimostrazione della centralità del Bel Paese nella visione dei teosofi. Un ruolo apicale Gasco lo raggiungerà invece nel 1938, in un passaggio delicatissimo per l’organizzazione.

Nel 1925 infatti era stata sciolta la massoneria – cui Gasco appartenne, riflettendo anche in un volume sulle sue due appartenenze, “Massoneria e teosofia”: nella prima vedeva il suo percorso razionale e intellettuale, “del cervello”, nella seconda quello “del cuore”. Il regime aveva invece tollerato la teosofia, ma ora, con le leggi razziali, chiedeva l’adeguamento del suo statuto. Se la dirigenza nazionale del periodo sembrava incline ad accettarla, Gasco si oppose duramente, scrivendo anche una lettera al presidente mondiale, che lo nominò suo “Agente presidenziale”, titolo unico nella storia italiana. Quando all’assemblea teosofica nazionale – presenti due agenti di pubblica sicurezza – vennero accolte le leggi razziali nello statuto, Gasco proclamò lo scioglimento della Società Teosofica Italiana per rifondarla coi dissidenti: a quel punto, essa venne però sciolta dallo stato fascista, che non poteva tollerarne l’opposizione al regime. Gasco divenne così il punto di riferimento negli anni dal 1939 al 1944, cercando di mantenere i rapporti coi rimanenti esponenti del movimento in quei tempi difficili; nel 1945, con la rinascita postbellica, verrà nominato segretario italiano dell’STI, carica che mantenne fino al 1956, anno da cui, comunque, rimase presidente ad honorem fino alla morte. Nel 1960 fondò anche “Nuova Era”, una seconda rivista teosofica stampata proprio a Mondovì, che si aggiungeva all’ufficiale “Alba spirituale” con cui aveva in precedenza collaborato. Conservata tuttora in biblioteca, è una summa delle riflessioni teosofiche di Gasco, su argomenti che vanno dalla massoneria ai rosacroce, dai templari alla filosofie ermetica antica, passando per Giordano Bruno e Jung. Nuova Era chiuderà poi nel 1966, Gasco – in età molto avanzata – morirà nel 1970, finendo un po’ nel dimenticatoio anche per la sua natura di figura eclettica. Ben venga la sua riscoperta odierna, dunque, che aggiunge un tassello al mosaico di una Mondovì più complessa e filosoficamente vivace di quanto potrebbe all’apparenza sembrare.

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