Ognuno di noi ha una storia da raccontare, per capire qualcosa di sé, prima ancora che per raccontare qualcosa di sé agli altri. Chi cerca ispirazione nella musica, chi in altre forme espressive come la pittura o, anche di più, il cinema e la letteratura, chi organizzando eventi o adoperandosi per la città in cui vive. In una società in cui il senso critico ha perso smalto e in cui le modalità di fruizione della cultura vengono declinate secondo svariati canoni, l’elemento narrativo ha preso il sopravvento su molti altri fattori altrettanto basilari: trovare il modo giusto di raccontare una storia può essere importante, ma mai a discapito di un’estetica dell’interpretazione o del punto di vista di chi è artista, interprete o attore del proprio vissuto. Là dove non si riconosce il valicamento dello “storytelling”, difficilmente si può trovare cultura.
Il tema viene affrontato in altri spazi ben più importanti (l’ultimo su “Repubblica” di domenica 10 luglio, in tema di cinema), già da parecchio tempo, ma ripensando alle ultime occasioni di ascolto musicale è parso che alcuni elementi siano di grandissima attinenza e molto attuali.
Se, nonostante un’offerta globalizzata in costante crescita, la domanda musicale si concentra sempre più attorno a fenomeni di massa e vengono meno le occasioni di mettere insieme narrazione, interpretazione ed estetica, dove si creano i termini di paragone, quegli elementi in grado di favorire la critica? Se manca il confronto critico con la società, il pubblico risponde creandosi un proprio evento “in casa”, ad uso e consumo proprio o per pochi e intimi amici, con la speranza magari che la voce si sparga e quella che è una piccola famiglia si trasformi in una tribù, dove poter dare spazio al confronto.
Di questi racconti e narrazioni che pensiamo essere fantascienza o accadere in luoghi diversi dai nostri ce ne sono molti, sono reali e anche assai prossimi. Di queste magie se ne trovano ovunque, siano i boschi del Violese, dove sabato 9 luglio si è tenuto “Il Castagneto Acustico”, in cui, lungo un fil rouge di fiaccole, si sono alternate esibizioni sonore, note di pianoforte qua e là, fantasmagorie immaginifiche e ottoni che riempivano il silenzio della valle; o nella stessa Mondovì, dove Roncea ha suonato per una quarantina di persone (numeri che a volte si fa fatica a vedere attorno a palchi ben più importanti), “in un piccolo salotto di casa, con un’acustica ideale, un pubblico attento e speciale con cui scherzare, dialogare ed emozionarsi”. Di cosa ha bisogno la musica oggi se non di piccoli esempi come questi? Il futuro si declina attraverso parole come spontaneità e prossimità, per un’autodafé dello spirito critico, in cui tornare a mettere in discussione, elementi di cui l’arte e la cultura hanno ancora bisogno come il pane.
L’arte del far da sè
Da “Il Castagneto Acustico” nei boschi del violese agli house concert a Mondovì