Alberto e Antonio ci parlano al telefono mentre sono ancora in viaggio, di ritorno dall’Abruzzo. Sono esausti, hanno scavato tutta la notte: «Per due notti, 14 ore a notte – ci dicono –, senza smettere un attimo. Alla fine eravamo “sfatti”. Ma lo scenario, su quell’hotel, è inimmaginabile».
Qua sono arrivate immagini da foto e telecamere. Ma vederle con gli occhi è un’altra cosa. Sentire sotto i piedi e le mani quel muro di neve, ghiaccio e macerie spesso tre metri: «Dovevamo tagliare la neve con la motosega – ci dice Alberto Saulo –, una valanga di quelle dimensioni va oltre il ponderabile. Assieme a noi c’era un volontario della Valle D’Aosta e anche lui ha detto: mai vista una cosa del genere. Oggi è facile dire: “si poteva evitare”. Ma stiamo parlando di una montagna di neve crollata tutta assieme, che ha letteralmente sradicato un bosco ed è piombata sull’albergo falciando perfino i pilastri di cemento armato. Non si poteva immaginare una cosa del genere». Poi è arrivata la pioggia, ad appesantire il tutto.
Com’è lavorare in quello scenario? «È dura, durissima. E sappiamo che la speranza si fa più sottile di ora in ora. Ma c’è un bel clima tra i volontari, nessuno molla e il coordinamento funziona alla grande».
L’attenzione mediatica era tutta sull’hotel e sulle sue vittime: ma non c’è solo quello. Massimo Sciandra, volontario del soccorso alpino di Garessio, è stato invece a Teramo e nelle vallate: «Ci sono centinaia di case, migliaia di persone, rimaste isolate. Senza luce, senza riscaldamento. Non so quanto ci vorrà per farli tornare alla vita normale».