La montagna ci è diventata nemica di colpo?

L’umanità deve prenderne coscienza, ricordandosi che non può comportarsi solo e sempre con leggerezza,

Torniamo ad interrogarci sulla porzione di imprevedibilità insita nelle catastrofi naturali come i terremoti. Senza cavare un ragno dal buco. Perché il sisma colpisce quasi sempre con una sorpresa che spiazza e angoscia. Certo, sui danni che le scosse telluriche provocano, c’entra eccome anche la responsabilità dell’uomo. Perché se non si può prevedere il momento del botto dagli epicentri vari dei sommovimenti terrestri, si possono prevenire guasti che ne dovrebbero derivare, con accorgimenti, costruzioni, misure anti-sismiche. La mattina presto, all’indomani del terremoto che ha sconquassato il paesone di Casamicciola sull’isola d’Ischia, in radio l’indimenticato protagonista della ricostruzione nell’emergenza da sisma in Friuli nel ’76, l’on. Zamberletti, poi iniziatore della Protezione civile, ha detto citando una battuta di anni addietro (la riporto a braccio): “In Giappone ci sono mega terremoti e piccoli danni, in Italia ci sono piccoli terremoti con grandi danni”. Cioè là le case reggono, qui crollano. Insomma c’è da riflettere sulle contromisure da adottare, mentre la terra trema e fa paura. L’uomo infatti ci mette lo zampino, dentro il mistero della fragilità del pianeta che sembra ancora in progress… per quanto attiene alla sua conformazione, per nulla bloccata. Tutti questi colpi a ripetizione, qua e là, ci dicono che la natura non è statica, non è al capolinea, non si è esaurita e fissata.
Analoghi spunti, ancorchè diversi, sembrano imporsi nel rapporto che l’uomo ha con la montagna. Conosciamo le tragedie causate dalla valanghe ad esempio, rispetto alle quali la prevenzione richiederebbe di stare alla larga sia costruendo a valle sia vivendo o inoltrandosi nei siti a rischio. Sappiamo tristemente degli incidenti in alta quota (e non solo), ove la montagna si dice talora che tradisce per il maltempo imprevisto, per la pietra che si stacca, per l’appiglio che cede… Ed anche la prudenza dell’uomo esercitata al massimo può non bastare.
Ma adesso ci si è messo di mezzo, incredibilmente, il crollo ciclopico di un costone enorme del Pizzo Cengalo in Val Bregaglia in Svizzera ad un tiro di schioppo dal territorio italiano nella zona di Sondrio. L’evento pauroso pone ulteriori interrogativi. Le immagini che tutti abbiamo visto sono impressionanti per una frana di eccezionali proporzioni, rispetto alla quale si fa largo il pensiero che il nostro paesaggio anche nelle alte vette non è definito, sta muovendosi, sgretolandosi, modificandosi. Si parla, in questo caso, anche di incidenza dei cambiamenti climatici, citando lo scioglimento del permafrost (per il riscaldamento globale che va intaccare il substrato dei ghiacciai). Ma forse anche questo non spiega tutto. In ogni caso l’umanità deve prenderne coscienza, ricordandosi che non può comportarsi solo e sempre con leggerezza, alle prese con inquinamenti assortiti ed a gogò, senza poi pagarne qualche prezzo. In Val Bregaglia ci sono tuttora otto dispersi, di cui si sono sospese le ricerche. Ma basta una sola vita umana persa a segnare un’allerta forte e marcato. La montagna non ci è diventata nemica di colpo. Dobbiamo rimetterci un po’ tutti in discussione.

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