Tarocchi/Cambiare le carte in tavola

Mi è capitato in alcune occasioni di assistere a una partita a tarocchi e, pur non riuscendo a comprendere fino in fondo il meccanismo del gioco, sono sempre rimasta affascinata dal potere evocativo di quelle immagini. Alcune, dal sapore più tradizionale, rimandano al mondo dei re, delle regine, dei fanti e dei giullari; altre come la Papessa, il Matto o l’Appeso, paiono invece celare un qualche arcano contenuto in storie lontane nel tempo e nello spazio. Non a caso le carte dei tarocchi presentano una duplice funzione: gioco da tavolo da un lato e strumento per l’arte divinatoria dall’altro. La lettura dei tarocchi riconduce alla lettura del destino, da interpretarsi nella combinazione delle carte, combinazione che per gli scettici, come me, è solo casuale, per altri invece assolutamente pregna di significato. La forte simbologia dei tarocchi fa tornare in mente alcuni tra gli archetipi più noti dell’inconscio collettivo intesi come principi primitivi e originari dell’essere umano, e che, a livello simbolico, reggono la storia e il destino della natura umana tutta. A questo legame tra carte, immagini e destino non era rimasto insensibile uno scrittore del calibro di Calvino, che intraprende la sfida ambiziosa di far raccontare ai tarocchi stessi le loro storie. Ne “Il Castello dei Destini Incrociati”, l’io narrante si ritrova a sostare in un castello medievale immerso in un fitto bosco. Gli ospiti nella sala del castello sono tutti muti per opera di un incantesimo e trascorrono la notte raccontando storie solo attraverso i gesti e la combinazione delle carte. Nascono, così, avventure e disavventure tutte da interpretare, a seconda di come le carte si intrecciano tra loro e di come esse vengano lette da chi “ascolta”. Ognuno entra nella storia dell’altro giocando la propria carta, in un continuo crearsi e disfarsi delle vicende narrate. Una stessa avventura, letta al contrario, sfocia in un destino opposto. Si procede per ipotesi, l’ intreccio è libero, il finale è aperto, tutto può essere letto per dritto o per rovescio, senza saperne (né capirne) il verso. Se la cornice narrativa dei commensali che a turno raccontano storie fa tornare alla mente lo schema del Decameron o dei Racconti di Canterbury, è soprattutto l’atmosfera del poema cavalleresco a regnare sovrana, a partire da quel “fitto bosco” in cui il lettore si ritrova: la selva ritorna ad essere metafora della vita in cui il cavaliere si trova ad “errare” nel duplice significato di vagare e sbagliare, nel tentativo di dare una direzione all’intrecciarsi delle vicende umane, il cui destino, tuttavia, è spesso difficile da decifrare e si può leggere, come nel gioco delle carte, in più e più modi: dall’alto al basso, da destra a sinistra, per un verso o al suo contrario.

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