Dreyfus siccome immobile: l’Affaire Polanski.

L'affaire Dreyfus riletto da Polanski, in un film complesso, di non facile interpretazione, ma ricco di suggestioni stimolanti.

Dreyfus“J’Accuse” (titolo italiano, “L’ufficiale e la spia”) è l’ultimo film di Roman Polanski, dedicato all’Affaire Dreyfus. Tratto dal romanzo di Robert Harris del 2013, che però l’ha scritto anche spinto dall’interesse dell'amico Polanski per il tema.

Il film assume il punto di vista del tenente colonnello Picquart dei servizi segreti. A lui va il merito di avere avviato la revisione del processo Dreyfus, raccogliendo nuove prove. L'opera ha vinto il Gran Premio della Giuria a Venezia. Nonostante le critiche per le note vicende giudiziarie di Polanksi stesso, il film è indubbiamente di grande interesse. Una parte della stampa ha avallato l’ipotesi che Polanski, che si ritiene accusato ingiustamente, debba a tale sua vicissitudine giudiziaria l’interesse per Dreyfus (vedi ad esempio qui).

Storia di due uomini.

DreyfusColpisce la scelta di questa assoluta centralità della figura di Picquart, ben interpretato da Jean Dujardin. La minuziosa disamina della vicenda giudiziaria mette molto in secondo piano quanto la vicenda abbia avuto una enorme influenza sulla società francese ed europea del periodo.

In una trama ingessata, la stessa recitazione di tutti gli attori risulta quasi volutamente irrigidita, forse come riflesso dell'epoca e dell'ambiente militare. Alcuni temi interessanti molto presenti – l’arroganza stolida delle gerarchie militari francesi, la duttilità opportunistica della “scienza”, qui ben rappresentata dall’untuoso Bertillon (padre del sistema di riconoscimento biometrico di Europa e USA) non sono sviluppati pienamente sotto il profilo drammatico. Tutto diviene la storia di due uomini, come dimostrato anche dalla efficace locandina e dal titolo. Titolo volutamente ambiguo: "ufficiale e spia" è il solo Dreyfus, nei suoi due volti presso l'opinione pubblica, o i due personaggi, l'investigatore Picquart e l'accusato?.

J'accuse

Un "falso d'autore"?

La cosa affascinante, però, è che questa ricostruzione blandamente falsante appare potenzialmente intenzionale. Rivelatrice è una scena in cui Picquart parla in un museo con un suo informatore. I due discutono, a margine del caso, di una statua di Apollo e Dafne in copia romana da originale greco distrutto. “Un falso” dice l’informatore. “Una copia.” Precisa secco Picquart (colto intenditore d’arte anche nella realtà).

La metafora sembra riferirsi in particolare al caso giudiziario: gli originali spesso sono sostituiti da copie e vaghe relazioni orali, che sotto la maschera del segreto di stato rendono impossibile decrittare la verità. Ma, anche al di là del paradigmatico caso di Dreyfus, è la “verità giudiziaria” che è una blanda e illusoria copia (moderna) della “Verità” in senso filosofico. Vero anche a un secondo livello: il film (e il romanzo) non sono che una illusoria copia della vicenda reale, la "verità letteraria" è parimenti illusoria (con ulteriore gioco di specchi: il J'accuse di Zola funziona perché scritto magistralmente da un grande autore, star del suo tempo, ma è in verità non privo di forzature e imprecisioni).

Dreyfus

Ciò appare confermato dal frequente rimando citazionistico a quadri d’epoca, in specie dell'impressionismo, a partire dal Déjeuner sur l'herbe, piuttosto evidente all’inizio, e vari rimandi meno stringenti (e meno celebri) nel corso d’opera.

 

Imprecisioni o decostruzioni?

Ecco che allora le decostruzioni del reale appaiono significative. A parte l’eclissi sulla scena di personaggi ed eventi importanti (su tutti: non si rivela la connessione tra l’affaire Dreyfus e l’avvio del Sionismo ad opera di Theodore Herzl, che si convince ad avviare tale movimento proprio sull’onda del caso) vi sono diverse semplificazioni proprio sulla vicenda principale che, sorprendentemente, tolgono drammaticità all’evento e creano – intenzionalmente? – delle irregolarità nella trasposizione, non facilmente spiegabili.

Labori

Si cita l’attentato al coraggioso avvocato Labori (che però non muore dopo quel colpo di arma da fuoco, come si potrebbe pensare, e torna in aula di tribunale poco dopo, eroicamente). Egli, detto il vichingo in quanto di tale aspetto (elemento palesato nel film) è poi interpretato da un attore dall’aspetto opposto. Non si cita, invece il ferimento di Dreyfus davanti alle ceneri di Zola, ad opera di un fanatico.

Clemenceu (che diverrà premier grazie a questo caso, così come Picquart ne sarà ministro della guerra: elemento accennato molto sottotono sul finale) effettuò un parallelo tra Dreyfus al crocifisso che stava alle spalle dei giudici, di enorme enfasi drammatica (e rigore storico), ma ciò viene omesso (qui ulteriori dettagli). C’è insomma un’inversione. Il caso Dreyfus è l’ultimo grande feuilletton dell’Ottocento: questo film lo tramuta in una fredda indagine burocratica da police procedural.

La musa Seigner

Anche la vicenda sentimentale è d’invenzione. La figura della cugina invece è reale, ed è interpretata da Emmanuelle Seigner, moglie di Polanski e sua attrice feticcio. Le accuse contro lo scapolo Picquart furono piuttosto di sospetti di omosessualità (come quelli che appaiono tra i dossieraggi del film, contro altre figure). Protagonista della Luna di Fiele, Lucifera nella Nona Porta, Venere in Pelliccia, la diva di Polanski è qui relegata a un ruolo di comprimaria, per quanto magistralmente interpretato, un po' ai margini di un film ostentatamente maschile (in tempi di Me Too e accuse a Polanski in particolare).

Insomma, un film come complesso gioco di specchi. Forse vuol essere una riflessione su questa doppia illusione, vero giudiziario e vero cinematografico. Un gelido dagherrotipo del processo kafkiano da cui nasce il '900.

Il caso Dreyfus sull’Unione

Dreyfus

A margine, può essere interessante notare l’ampia copertura del caso Dreyfus anche sull’Unione, con corrispondenze dall’estero brevi, ma decisamente fitte. 14 articoli nel 1898, 30 nel 1899, 3 nel 1900 e poi singole menzioni negli anni successivi. Il tono è solitamente sottilmente ostile a Dreyfus, anche se in generale si mantiene un certo distacco giornalistico. Alcune note però sono curiose: ad esempio, il compiacimento per l’asta dei mobili di Zola in seguito alla sua sconfitta al processo.

2 / 10 / 1898

I mobili di Zola all’asta. — L’11 ottobre avrà luogo l’asta dei mobili di Zola per l’indennità di trentamila franchi accordata ai periti calligrafi. Furono sequestrati in via di Bruxelles i mobili della sala da pranzo, del salottino e del vestibolo; l’usciere declinò l’offerta del deposito di pari somma sotto riserva per la condanna contumaciale. Oh se venissero sequestrati tutti i libri e romanzi del valente pornografo, e poi bruciati sulle piazze di Parigi! Sarebbe un’opera proprio santa!

Comunque, in modo corretto, si dà notizia dell’evento-chiave che porta a una svolta, sia pure con una certa insofferenza.

4 / 9 / 1898

Francia. — Nuovi scandali. — L’affare Dreyfus comincia a diventare lungo, e lascia degli strascichi dolorosi. Il ministero della guerra essendo venuto a scoprire che uno dei documenti, di cui si sono valsi i giudici nel famoso processo, era stato falsificato da certo colonnello Henry, lo fece chiamare e lo interrogò in proposito. Questi cercò di giustificare le differenze della scrittura del colonnello a cui si era attribuita la lettera, e la scrittura della lettera stessa, ma all’improvviso, seminconscio, confessò la falsificazione soggiungendo che in un momento d’aberrazione immaginò quel documento.

Il ministero allora ordinò l’arresto del colonnello Henry e lo fece rinchiudere nelle carceri del Mont Yalòrieu. Ora ci è giunta notizia che questi siasi ucciso segandosi la carotide con un rasoio. Doveva essere un buon soggetto anche lui! Pare che l’educazione militare sia la stessa cosi in Francia come in Italia. Come sono infelici gli eserciti senza religione! Quanto al Dreyfus torna a ridestarsi la forte corrente che vuole si rifaccia il processo, essendo diminuiti i dubbi sulla colpevolezza di lui.

Ma resta l’ostilità del giornale all’ufficiale ingiustamente accusato – nonostante il colpo di scena giudiziario, oggettivamente eclatante. Incluso il suicidio opportuno del “colpevole unico” della falsificazione. E, a sua volta, rimanda al suicidio suggerito allo stesso Dreyfus, dopo la scoperta del suo presunto tradimento. Non manca, purtroppo, qualche passaggio nell'antigiudaismo del tempo, corroborato da una - incongrua - citazione colta da Torquato Tasso.

2 / 9 / 1899

Sempre Dreyfus in Francia. E non in Francia soltanto, perchè il processo contro quest’ uomo ha un’eco in tutto il mondo, e tutto il mondo è ansioso di vederne la fine. Le deposizioni di questi giorni assumono un’ importanza non comune, e perfino i più accalorati Dreyfusisti cominciano a sospettare della condanna. Ma quale colpo ne avrà la Francia ?... A quest’uomo è legato uu potentissimo partito, e non si può prevedere che cosa sia per avvenire.

La posizione della Gazzetta

Negli stessi anni, invece, una posizione opposta (come spesso accadeva) era quella assunta dalla Gazzetta di Mondovì.

Il 24 / 3 / 1898, infatti, scriveva:

L'antisemitismo in Algeria

Mentre si svolgeva il processo contro Emilio Zola, successero, in Algeria, alcuni scoppi di antisemitismo, rispondenti quelli che si videro a Parigi per opera dei nemici dello Zola stesso, nemici ancora del Dreyfus, di cui il romanziere verista si era fatto il patrono, anzi l'avvocato. Ma si credeva che, finito il processo colla condanna dello Zola, l'antisemitismo si sarebbe rintanato sia in Francia che in Algeria.

Invece no. Essendosi, l’altro ieri, proceduto all’ arresto di certo Regis, direttore dell‘Antijuif, costui seguaci non trovarono altro mezzo migliore di manifestare il proprio risentimento, che quello di rompere vetri alle finestre delle case dove abitano gli ebrei, ed alle botteghe di costoro proprietà, ed anche di minacciare battere gli ebrei che incontrarono per via. Veramente l’essere antisemiti nell’anno di grazia 1898 è una stonatura quasi inconcepibile, ma anche più inconcepibile che esistano giornali, come l’Antijuif, che si propongano per compito la lotta di religione, peggio della lotta di classe propugnata dai socialisti.

“Non si può prevedere che cosa sia per avvenire”: diceva l’Unione di quel lontano 1898. Purtroppo, come dimostrano le pagine del giornale concorrente, e come sappiamo noi posteri col senno di poi, si poteva capire benissimo.

 

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