Sopravvissuti all’Inferno di Dante

L’opera di Dante, in particolare la Divina Commedia, è una delle vette più alte della nostra cultura. Popolare ieri, oggi è difficile accostarvisi senza una mediazione: eppure non ha mai smesso di affascinare. L’eredità di Dante è più viva che mai, nella cultura contemporanea; CultureClub51 propone alcuni approfondimenti, che partono tutti dal poeta fiorentino, verso gli orizzonti più diversi

S’io credesse che mia risposta fosse
a persona che mai tornasse al mondo,
Questa fiamma starìa senza più scosse.
Ma perciocché giammai di questo fondo
Non tornò vivo alcun, s’i’odo il vero,
senza tema d’infamia ti rispondo.
Così Guido da Montefeltro tra i consiglieri fraudolenti nell’ottava bolgia dell’Inferno, si rivolge a Dante, pronto a confessargli le sue colpe, certo che mai un’anima scesa negli inferi potrebbe tornare sulla terra a rivelarne l’infamia. Siamo nel canto XVII dell’Inferno, ma anche nel Canto di Alfred Prufrock di Eliot, che riprende le terzine dantesche in lingua originale per l’incipit del suo Love Song. Non è sfoggio di erudizione, bensì un’analogia profonda tra Prufrock, alter ego del poeta, e i dannati nel regno degli inferi. Prufrock, antieroe moderno che è riuscito a malapena ad assaggiare la vita a piccoli sorsi, senza slancio, né entusiasmo, appesantito dai rimorsi e dai rimpianti per non aver osato, per aver procrastinato ogni decisione, rinunciando a vivere pienamente, sente di poter rivelare al lettore la meschinità e l’aridità della sua vita, perché, come lui, anche chi legge appartiene a un mondo di anime sorde, che non sentiranno, né capiranno il dramma della solitudine in un mondo sempre più alienato. Let us go then, you and I: andiamo allora, io e te, lettore indefinito, verso le strade di Londra, come anime dannate che vagano in una città surreale, fatta di sinistri anfratti e strade desolate, a cui giungono voci indistinte, premonizioni di un prossimo futuro di vecchiaia e decadimento. E’ ancora Londra a tingersi di colori infernali, descritta come un’ Unreal City che Eliot descrive nella terza parte della sua “Terra Desolata”: è proprio la sua Londra immersa in un’alba cupa e squallida, che si sveglia quando aprono gli uffici e il London Bridge si riempie di una folla di uomini tale che I had not thought death had undone so many, proprio come gli spiriti degli ignavi che si incontrano nel Canto III dell’Inferno erano descritti da Dante come “Sì lunga tratta di gente ch’io non avrei mai creduto che morte tanta n’avesse disfatta”. Un secolo dopo Eliot, sarà il cantautore Caparezza ad eleggere a protagonista di una canzone un personaggio dell’Inferno di Dante. E’ la volta di Filippo Argenti, che si ritrova immerso tra gli iracondi nella palude Stige e con cui il sommo poeta avrà un insolito alterco, a memoria della inimicizia terrena che li aveva schierati l’uno contro l’altro. Il cantautore apre il pezzo con citazioni fedeli delle terzine dantesche, per poi passare a un rap sapientemente costruito che dà voce all’Argenti, lasciandolo inveire a briglie sciolte contro Dante, ribaltando così i ruoli e mettendo in evidenza quanto Dante stesso, in realtà, cedesse, proprio lui che per lo stesso motivo condannava l’Argenti, all’ira e al desiderio di vendetta. Le nuove generazioni assomigliano più a un Argenti che a un Alighieri? Quel che è certo è che il genio di Caparezza rovescia il significato dell’esclamazione “A Filippo Argenti” che nel canto dantesco si intende come “addosso a Filippo Argenti” e che qui diventa invece acclamazione rivolta a un nuovo Argenti, che pare avere un nuovo futuro nel mondo feroce di oggi: Argenti vive, vivrà, (…) persino tu che mi anneghi a furia di calci sui denti, ti chiami Dante Alighieri, ma somigli negli atteggiamenti A Filippo Argenti!

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