GIORNATA PER LE VOCAZIONI: «Il futuro della nostra Chiesa nelle mani di una decina di giovani con il coraggio di rispondere di sì»

«Siamo alla quarta domenica di Pasqua, dedicata alla figura del Buon Pastore, e insieme domenica di preghiera per le vocazioni. Per tutte le vocazioni, ma con un riferimento esplicito a quelle di speciale consacrazione (vocazione al presbiterato e alla vita consacrata) quelle che esigono un più di motivazioni e di discernimento; quelle che la mentalità odierna fatica maggiormente a comprendere – ha detto nell’omelia domenica sera in Santuario, con diretta streaming, nella celebrazione eucaristica della Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, con la presenza dei due seminaristi diocesani Cristiano e Niccolò, e del responsabile della Pastorale vocazionale don Federico Boetti –. Una giornata, dunque, densa di suggestioni e prospettive, che fra loro si legano, ma che certo richiedono attenzione e rispetto, ciascuna nella sua specificità».

GESÚ VERO PASTORE CHE CI CONOSCE NELL’INTIMO
«La prima immagine proposta dal testo di Giovanni concerne il Buon Pastore. Colpisce l’insistenza sul tema della voce – ha aggiunto il vescovo –. La voce esce da dentro di noi, reca di noi un marchio inconfondibile, è impastata del nostro corpo e del nostro spirito. Ed entra dentro chi ascolta. Quante volte pensiamo alla voce di una persona cara come a qualcosa che desideriamo udire, come a qualcosa di prezioso, che ci dà intimità, quasi esclusività di rapporto... Bene, Gesù dice che le pecore ascoltano la voce del pastore e la riconoscono; e racconta che il pastore la usa per chiamarle ciascuna per nome. Dopodiché, cammina davanti a loro. In questa immagine che viene dalle alture della Palestina ma anima spesso anche le nostre Langhe e montagne è descritto molto del rapporto tra noi e il Signore.

Primo elemento: Gesù ci chiama uno a uno, ci ama di un amore speciale e personale, non ci confonde nel numero. Ci vuole bene per ciò che siamo, nella nostra irripetibile individualità, quale che essa sia. Secondo elemento: premesso che è una grazia far parte del suo gregge e un dono averlo conosciuto, noi conosciamo la sua voce. Lui non confonde noi, ma noi non confondiamo lui. Dopo lunga frequentazione sappiamo bene ciò che viene da lui e ciò che viene da altri; sappiamo bene che solo la sua parola è parola di vita eterna; sappiamo bene da chi ci viene l’acqua viva che placa la sete per sempre. C’è un’intimità profonda e speciale, dunque, nel nostro rapporto con Gesù. Con lui e non con altri. E lui ne è così consapevole che, dopo averci convocato a questa intimità, ci cammina davanti, traccia il cammino, fa strada, ci accompagna. Non è da tutti. Quanti, anzi, suscitano il nostro interesse a un’attenzione e poi non sanno dove condurci, non se ne fanno carico, ci deludono, ci hanno deluso…»

GESÚ PORTA CHE CONDUCE ALLA VITA
«Sempre nella pagina del Vangelo, successivamente Gesù sceglie un’altra immagine per definire il senso della sua presenza nelle nostre vite: quella della porta – ha continuato il vescovo –. Il termine greco chiarisce che Gesù non sta parlando delle grandi porte delle città d’Oriente, che introducevano nella città potente, opulenta e caotica, e anche malvagia, come poteva essere la grandiosa porta di Babilonia che si può ancora ammirare al Pergamon Museum di Berlino e sotto cui dovettero passare gli Ebrei umiliati, deportati, e tanti altri popoli sfortunati. Gesù sta parlando della porta dell’ovile, di una porta più umile e feriale, della stretta soglia da cui le pecore entrano ed escono per “trovare pascolo”, ovvero, come dice poco dopo, “per avere la vita e averla in abbondanza”. Un Gesù che si fa passaggio, dunque; un Gesù “tramite”, attraversamento necessario per la salvezza quotidiana e per l’incontro con il Padre. Un Gesù che non solo ci guida e ci sta davanti, ma, per usare una bellissima immagine di Bonhoeffer, si lascia attraversare per “far fiorire l’umano”, per consentirci di arrivare alla pienezza di noi stessi. E se tutto ciò vale, esiste per noi un dono più grande di Gesù Cristo, Figlio di Dio, per le nostre vite? Non credo».

AD IMMAGINE DI GESÚ
«Quel dono, quell’essere Buon Pastore e porta, che è Gesù per ciascuno di noi, può esserlo anche il sacerdote per ogni fedele, per i suoi fratelli. E passo così al tema della giornata per le vocazioni, giornata che tocca un aspetto fondamentale per il futuro stesso della nostra Chiesa. Sono tante, infatti, le definizioni del ministero sacerdotale, ma nessuna di esse mi pare così incisiva e facile da comprendere come quella riassunta dalle due immagini proposte da Gesù per se stesso, ma di riflesso valida anche per i suoi apostoli. Il prete è colui che conosce per nome i suoi fratelli; è il pastore che li guida, che ha per loro la voce capace di dire parole di speranza, di discernimento, di consolazione; è colui che per loro prega; è quello di cui si fidano. Ed è anche porta: nella celebrazione dei Sacramenti, sempre il sacerdote garantisce un passaggio. Sono tutti passaggi da una condizione a un’altra, i Sacramenti. Pensate al battesimo, al matrimonio, alla penitenza, all’unzione degli infermi. Anche in questo, il presbitero replica l’azione di Gesù, si assume il compito nobilissimo di fare compiere dei passaggi fondamentali verso la salvezza agli uomini e alle donne che gli sono stati affidati. Questo è il ministero dei presbiteri, non altro. Configurato a Gesù nel sacramento dell’Ordine, il prete ripresenta nella parola, nei gesti, nella vita, l’identità profonda di Gesù, Buon Pastore e porta della vita».

DALLE SCELTE PARZIALI ALLA SCELTA DEFINITIVA
«Ma la prima lettura, con quella domanda “Che cosa dobbiamo fare, fratelli?”, domanda che scaturisce dall’ascolto della Parola predicata dagli apostoli, ci ricorda come alla chiamata, agli interrogativi che essa pone, alla stessa presenza di Cristo bisogna rispondere con concretezza di gesti e di azioni, con il “fare”. Con il reale impiego delle forze e della vita. Con il corpo che si dona insieme allo spirito. Per diventare buon pastore e porta stretta, occorre essere nella concretezza e agire nella pratica. Cioè donarsi, in un’avventura che può essere esaltante come è sempre ciò che ci porta a uscire da noi stessi ed essere con gli altri e per gli altri. Tanto più se è Dio a volerci e a guidarci. Mi chiedo tuttavia, quali siano le resistenze, le difficoltà oggi così frequenti. Infatti, nessun dubbio che il Pastore chiami per nome, nessun dubbio che molti ne riconoscono la voce. Tanti giovani hanno un bel cammino di fede, seguono il Signore, gli vogliono bene… Ma poi non c’è il passo decisivo dietro a Lui, alla stregua del giovane ricco del vangelo, affascinato, ma indeciso».

NECESSITANO GIOVANI CORAGGIOSI
«Nel suo messaggio per la giornata di oggi, il Papa, fra altri punti, tocca quello del coraggio. Mi sembra una sottolineatura importante e riassuntiva di tanti perchè. Queste le sue parole: “Il Signore sa che una scelta fondamentale di vita […] richiede coraggio. Egli conosce le domande, i dubbi e le difficoltà che agitano la barca del nostro cuore, e perciò ci rassicura: ‘Non avere paura, io sono con te!’.  La fede nella sua presenza che ci viene incontro e ci accompagna, anche quando il mare è in tempesta, ci libera da quell’accidia che ho già avuto modo di definire ‘tristezza dolciastra’ cioè quello scoraggiamento interiore che ci blocca e non ci permette di gustare la bellezza della vocazione”. Cos’è la bellezza della vocazione che, secondo il Papa, si incontra solo con il coraggio? Penso di poter dire che è la bellezza della vita vissuta pienamente, nel dono di sé, nel nome di un ideale, nella consapevolezza di aver scelto una buona causa e nella determinazione a spendersi per essa. Si può vivere senza aderire a una vocazione? Certo, si può. Tante esistenze, purtroppo, scorrono così. Ma sono vite vissute in percentuale, a volte in percentuale ridottissima. Procedi, cammini senza una meta precisa, ti dibatti, per usare una perfetta immagine del poeta Clemente Rebora (poi diventato sacerdote...) “rigirìo sul luogo come cane”. Mentre l’esistenza vissuta nel coraggio della propria vocazione trova in sé il suo stesso significato, ovvero nella generosità e nell’entusiasmo, nella pace del cuore che ne deriva. Quanto alle vocazioni di speciale consacrazione: esempi negativi di cattivi pastori non mancano, indubbiamente, qualche figura poco attraente anche, come in tutte le vocazioni e in tutte le professioni, del resto. Ma ce ne sono molti di più che sono esempi mirabili, uomini riusciti, sacerdoti santi, che hanno fatto della loro vita un capolavoro terso, uno scorrere d’acqua limpida che fa crescere vita, un punto di riferimento e una fonte di speranza per tanti fratelli».

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